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ALIMENTARE:NYT, GRANDI CHEF RISTORANTI ITALIA SONO STRANIERI

PREMIO GAMBERO ROSSO A TUNISINO. A RISCHIO DNA CUCINA NAZIONALE (ANSA) – NEW YORK, 7 APR – La cucina italiana resta italiana anche quando gli chef non sono italiani? Con un articolo di prima pagina, il New York Times punta oggi i riflettori sulle metamorfosi in corso nella gastronomia dello ‘stivale’. Il corrispondente da Roma Ian Fisher apre il dibattito con un caso celebre: Nabil Hadji Hassen, chef dell’Antico Forno Roscioli a Roma e di recente vincitore del primo premio del Gambero Rosso per la miglior carbonara. "Il secondo posto del premio conferito dalla prestigiosa rivista gastronomica è andato all’Arcangelo, un ristorante il cui capo cuoco è indiano", scrive Fisher, l’autore in dicembre di un servizio sul "malessere italiano" che tante polemiche ha provocato in Italia. Negli Stati Uniti del ‘melting pot’ non è sorpresa che grandi chef si approprino di culture gastronomiche aliene, diverso il caso dell’Italia dove, osserva Fisher, il cibo "é una cosa seria, una parte dell’identità nazionale e regionale". "Cucinare è una passione", ha dichiarato al New York Times Hassen, che ha 43 anni, è emigrato a 17 dalla Tunisia e ha passato un anno e mezzo a lavare i piatti prima di cuocere il suo primo piatto di pasta. Il New York Times osserva l’anomalia ponendo una serie di interrogativi: "Il cambiamento in Italia non viene preso alla leggera, specie quando pone quesiti scomodi. Cambierà la cucina italiana? E se sì, sarà per il peggio, o – cosa ancora più sconcertante – per il meglio? E succederà a spese dell’orgoglio nazionale?". Il quotidiano sottolinea un paradosso: "Mentre gran parte del resto del mondo ha conosciuto la pasta e la pizza grazie ai poveri emigranti italiani, oggi sono gli stranieri, molti di loro poveri, che creano gran parte dei piatti migliori in Italia (e anche dei peggiori e di tutto quello che sta in mezzo)", scrive Fisher. Questo perché gli italiani "snobbano sempre più spesso il lavoro faticoso e sottopagato delle cucine": è raro – osserva l’inviato del quotidiano in Italia – trovare un ristorante dove non ci sia almeno uno straniero che lava i piatti, aiuta in cucina o, come è spesso il caso, sta ai fornelli. C’é, tra i ristoratori interrogati dal giornale, chi sostiene che nulla cambierà se gli chef venuti da oltre-confine sono addestrati come si deve. La pensa così Francesco Sabatini, proprietario di Sabatini a Trastevere che su dieci cuochi ha assunto sette stranieri. Di diverso parere Loriana Bianchi, co-proprietaria della Canonica: "Bisogna insegnare la tradizione ai giovani italiani, non agli stranieri: non è un fatto di razzismo ma di cultura". E anche Pierluigi Roscioli, della famiglia proprietaria dell’Antico Forno, mette in guardia dal rischio che la tradizione venga lentamente erosa se gli chef italiani non sorvegliano a dovere gli stranieri: "Senza supervisione tendono ad andare alla deriva verso il loro Dna. Quando è per scelta è magnifico, non però se succede per distrazione". (ANSA).

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