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Discriminazioni e sport. Seconde generazioni in gabbia

C'è il razzismo istituzionale, scritto nei regolamenti, e quello di chi li insulta per il colore della loro pelle. Su Italianipiu.it il punto di vista del sociologo Mauro Valeri, funzionario dell’Unar e responsabile dell’Osservatorio su razzismo e antirazzismo nel calcio

Roma – 2 luglio 2013 – Lo sport, nella sua versione più corretta, è uno dei più importanti ambiti di integrazione, al pari forse della scuola.

Perché quello che conta dovrebbe essere non tanto l’origine, l’appartenenza etnica o la cittadinanza, quanto il risultato che fa o che contribuisce a fare nei giochi di squadra. Questa semplice verità, ribadita in tutti i documenti internazionali e anche negli statuti di tutte le federazioni sportive, viene invece apertamente contraddetta in Italia, dove le seconde generazioni sono di fatto discriminiate in ambito sportivo. E lo sono per almeno due motivi.

La prima discriminazione è quella che possiamo definire “razzismo istituzionale”, e riguarda le norme che ogni federazione stabilisce per il tesseramento. Nei fatti, non è prevista alcuna misura specifica che faciliti il tesseramento per i ragazzi e le ragazze nati e nate in Italia. Di fatto, sono inseriti nel grande magma degli “stranieri”…

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