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La sentenza: “Stabilizzare anche gli infermieri extraue”

Discriminatorio  il comportamento dell’Ospedale San Paolo di Milano, che aveva riservato i concorsi interni agli italiani. Scarica il testo

Milano – 4 giugno 2008 – Una quarantina di cittadini extracomunitari lavorano da anni all’ospedale San Paolo di Milano come infermieri, tecnici e operatori sociosanitari, gomito a gomito con i colleghi italiani. In tasca hanno da anni contratti a termine o di collaborazione coordinata e continuativa, così come i colleghi italiani.

Ma ora che alla luce delle ultime due leggi Finanziare si è aperta la possibilità  di stabilizzare i precari con dei concorsi interni, l’ospedale sostiene che, al contrario dei loro colleghi italiani, non possono accedere a quei concorsi. Secondo l’azienda, i cittadini extracomunitari non potrebbero infatti essere assunti nella pubblica amministrazione.

Questa tesi è stata bocciata dal giudice del lavoro di Milano Carla Bianchini, che con una sentenza depositata il 30 maggio ha bollato lo stop come una discriminazione, ordinando all’ospedale di “ammettere i dipendenti extracomunitari già assunti con contratto a termine o con contratto di collaborazione coordinata e continuativa alle procedure di stabilizzazione”. Sentenza che farà scalpore, anche perché in tutta italia sono ormai tantissimi gli stranieri impegnati tra corsie e camici bianchi che potrebbero trovarsi nella stessa situazione.

Il giudice: "È una discriminazione"

Il ricorso contro l’ospedale era stato presentato da Cgil e Cisl, che alla luce dell’articolo 44 del testo unico sull’immigrazione hanno potuto intentare un’”azione civile contro la discriminazione” anche senza una delega dei lavoratori, che avrebbero potuto temere “ritorsioni” da parte dell’ospedale.

Secondo il giudice, il requisito della cittadinanza italiana non sarebbe discriminatorio solo se riferito “ad attività comportanti l’esercizio di pubblici poteri o di funzioni di interesse nazionale”.  Ma non sarebbe questo il caso dei lavoratori stranieri dell’Ospedale San Paolo, per i quali, “la limitazione subita non è dettata da alcuna ragione concreta, obiettiva e specifica” e l’esclusione a causa della cittadinanza “si configura come ingiustificata ed arbitraria”.

La cittadinanza italiana per l’accesso alla pubblica amministrazione potrebbe, inoltre, essere giustificata dall’”obbligo di fedeltà” dei dipendenti. Ma molti di quei lavoratori hanno già dei contratti di subordinazione e, sottolinea il giudice, “non si vede come il contratto a termine possa differenziarsi sotto il profilo degli obblighi di fedeltà dal contratto a tempo indeterminato”.

L’avvocato: "Serve una legge chiara"
“Negli ospedali lavorano decine e decine di infermieri e operatori extracomunitari, che sono condannati al precariato, visto che le aziende sostengono che possono essere assunti solo con contratti a termine” commenta l’avvocato Alberto Guariso, che ha presentato l’azione civile per conto dei sindacati. “Al di là di questa sentenza, servirebbe un intervento del legislatore”

“Da una parte – spiega Guariso – il  testo unico sull’immigrazione che ribadisce la parità tra lavoratori italiani e stranieri, spiega che gli infermieri extraue possono essere assunti in strutture pubbliche e private e possono entrare in Italia al di fuori delle quote di ingresso. Dall’altra ci sono le norme sul pubblico impiego che riservano le assunzioni agli italiani”.

Secondo l’avvocato bisognerebbe invece allinearsi ad altri Paesi europei, dove negli uffici pubblici “in mansioni tecniche o esecutive possono essere assunti anche gli stranieri, mentre ai cittadini vengono riservate solo le funzioni che comportano poteri più rilevanti, come nel caso di militari, poliziotti, magistrati e così via”.

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Elvio Pasca

 

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