I lavoratori stranieri sono stati colpiti duramente dalla crisi, mentre mancano politiche di integrazione coordinate e la giusta attenzione alle seconde generazioni. "Facilitare l'acquisizione della cittadinanza". Il rapporto
Roma – 8 luglio 2014 – L’Italia dovrebbe impegnarsi per favorire l’integrazione degli immigrati e dei loro figli nella società e far sì che acquisiscano le capacità necessarie per migliorare le loro prospettive lavorative e i loro salari.
Lo scrive l’Ocse nel suo rapporto “Lavoro per gli immigrati: l’integrazione nel mercato del lavoro in Italia”, presentato ieri.
L’Italia, insieme alla Spagna, è il Paese OCSE che dal 2000 ha vissuto la maggiore crescita annuale della popolazione immigrata. La percentuale di immigrati sul totale della popolazione è quasi triplicata tra il 2001 e il 2011 fino a raggiungere il 9%.
Molti immigrati arrivano in Italia per lavorare, piuttosto che per ricongiungimento familiare o per ragioni umanitarie, e nella popolazione in età lavorativa il loro tasso di occupazione è maggiore rispetto ai nativi. Molti di loro, però, sottolinea l’Ocse, sono intrappolati in lavori a bassa produttività e mal pagati e costituiscono una buona parte dei lavoratori in condizioni di povertà.
Gli immigrati di sesso maschile sono stati colpiti molto duramente dalla crisi economica, data la loro concentrazione nell’edilizia e nel settore manifatturiero. Il loro tasso di occupazione ha raggiunto il 72% nel 2012 diminuendo di 10 punti percentuali dal 2008, circa il doppio rispetto ai nativi. Quasi la metà delle donne immigrate, nota il rapporto, lavora come badante, un’occupazione che dipende principalmente dai risparmi delle famiglie che si stanno notevolmente riducendo.
Complessivamente, gli immigrati, uomini e donne, costituiscono rispettivamente il 31% e il 40% dei lavoratori poco qualificati nel 2012. Solo la metà di loro ha un titolo di studio superiore alla licenza media e pochi parlano italiano al momento dell’arrivo.
Secondo l’organizzazione internazionale, è necessario un coordinamento meglio definito e più efficiente per le politiche di integrazione tra livelli locali e sub-nazionali. Rendere più efficiente la burocrazia, identificare i progetti di integrazione efficaci e prenderli come modello da seguire sono passi da compiere. L’offerta di corsi di lingua è un esempio di mancanza di coordinamento, dal momento che esiste una miriade di soggetti diversi che finanzia e offre questi servizi, spesso con forti sovrapposizioni.
Un’altra importante sfida a lungo termine è l’integrazione dei figli degli immigrati nel sistema educativo e nel mercato del lavoro. È un punto fondamentale dato che la percentuale di bambini figli di immigrati raggiungerà presto le proporzioni viste in altri Paesi con un’immigrazione di lunga data, come l’Austria e l’Olanda.
La maggioranza degli studenti immigrati ha genitori poco istruiti e non ottiene buoni risultati a scuola. Per i quindicenni coinvolti nell’indagine PISA, la differenza tra i risultati ottenuti dagli studenti immigrati e quelli ottenuti dai nativi è una tra le più alte nei Paesi OCSE. I dopo-scuola, insieme a corsi di lingua, servirebbero a migliorare la situazione, insieme a misure per incentivare le famiglie a portare in Italia i loro figli il prima possibile, così che possano imparare la lingua a scuola.
Non tutti i figli degli immigrati sono consapevoli del loro diritto alla naturalizzazione. L’acquisizione della cittadinanza dovrebbe essere facilitata ed incoraggiata, dal momento che i figli degli immigrati naturalizzati hanno risultati migliori nel mercato del lavoro. Sarebbe compito dei Comuni diffondere le buone pratiche esistenti per raggiungere i minori e le loro famiglie ed incoraggiarli a sfruttare questa possibilità.
http://www.oecd-ilibrary.org/social-issues-migration-health/lavoro-per-gli-immigrati_9789264216570-it