Le linee guida pubblicate dal ministero dell’Interno. Per evitare che le anagrafi neghino un diritto fondamentale
Roma – 22 maggio 2015 – “Vuole prendere la residenza? Passaporto, prego…”. Ma chi è fuggito dal suo Paese perché era perseguitato o per non morire in guerra, il passaporto spesso non ce l’ha, n’è può chiederlo in ambasciata.
È uno degli assurdi muri che può trovarsi un richiedente asilo, un rifugiato o un titolare di protezione sussidiaria quando va in Comune ad iscriversi all’anagrafe. Colpa di operatori che, conoscendola poco, non applicano la legge.
Altro caso tipico riguarda chi è ospitato nei Centri di Accoglienza. Alcuni uffici anagrafe non li considerano luoghi adatti a prendere la residenza, nonostante il testo unico sull’immigrazione dica che dopo 3 mesi di permanenza vanno considerati “dimora abituale”.
Negando la residenza, si negano anche tanti altri diritti fondamentali. Dall’iscrizione all’anagrafe dipendono infatti, ad esempio, l’accesso all’assistenza sociale, l’iscrizione al servizio sanitario nazionale, l’assegnazione delle case popolari e tanti altri passi verso l’integrazione, fino alla richiesta di cittadinanza italiana.
Perché queste situazioni non si verifichino più, ecco le “Linee guida sul diritto alla residenza dei richiedenti e beneficiari di protezione internazionale”, realizzate dal ministero dell’Interno, insieme al Sistema protezione per richiedenti asilo e rifugiati, Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione), Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati e Associazione Nazionale Ufficiali di Stato Civile e d'Anagrafe
Chiariscono tutti i presupposti dell’iscrizione anagrafica di chi cerca o ha trovato protezione in Italia. Uno strumento utile per gli operatori e gli ufficiali di anagrafe, ma anche per chi aiuta a ricostruirsi una vita qui quanti sono stati costretti a lasciare il loro Paese.
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