Crescono le competenze degli uffici che gestiscono l’immigrazione in Italia. La riforma andrebbe però fatta con le risorse disponibili e si rischia di affrontarla con seicentocinquanta lavoratori in meno
Roma – 14 novembre 2011 – Accordo di integrazione e permesso a punti saranno realtà solo tra quattro mesi, ma intanto bisognerà rispondere alla domanda di come verrà gestita tutta la burocrazia aggiuntiva che si portano dietro. Soprattutto tenendo presente che il regolamento arrivato in Gazzetta Ufficiale impone di provvedere “con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”.
Insomma, teoricamente, questa rivoluzione dovrebbe essere a costo zero per la pubblica amministrazione. Eppure, gli oneri salgono a dismisura, soprattutto per gli sportelli unici per l’Immigrazione. Questi uffici dovranno infatti gestire la firma dell’accordo da parte degli immigrati arrivati in Italia e organizzare i minicorsi di educazione civica. Ma il peggio arriverà dopo due anni, quando dovranno valutare i progressi fatti da ognuno, raccapezzarsi tra punti da dare o sottrarre e gestire i test di italiano ed educazione civica.
Si può fare tutto questo con le “risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili”? Il bello è che, quando l’accordo entrerà in vigore, non sarà stato solo Maroni a lasciare la sua scrivania. A meno che non arrivi l’ennesimo colpo di scena, alla fine del 2011 torneranno infatti a casa anche i “precari dell’immigrazione”, seicentocinquanta lavoratori a tempo determinato che da anni, di rinnovo in rinnovo, rappresentano la spina dorsale degli Sportelli Unici.
Tanti di loro, la scorsa settimana, hanno seguito con ansia l’approvazione definitiva della legge di stabilità. Speravano, infatti, che nel maxiemendamento presentato dal governo spuntassero due righe in grado di salvare i loro posti di lavoro. Sono rimasti delusi.
“Nell’impellenza di tagliare le spese nel settore pubblico sotto il commissariamento dell’Ue si colpisce quello che non è uno spreco ma una risorsa da valorizzare e rendere, invece, stabile proprio per la delicata funzione svolta che è e deve restare pubblica. Il ministro Maroni al suo ultimo atto ha mostrato tutta la sua indifferenza alle sorti di 650 lavoratori e del servizio erogato da importanti strutture del Ministero” denuncia Antonio Crispi, segretario nazionale della Fp Cgil.
Entro la fine dell’anno si moltiplicheranno gli allarmi e le mobilitazioni per salvare i seicentocinquanta, ma la mancanza di fondi e le nuove norme sulla mobilità dei dipendenti pubblici (che dovrebbe teoricamente permettere alla Pubblica amministrazione di tappare i buchi nei suoi uffici più caldi spostando personale da quelli dove c’è meno da fare) fanno presagire che la battaglia sarà durissima. Sempre che l’ultima parola non la dicano i giudici.
“Aumenta il lavoro degli Sportelli Unici, ma vogliono mandare a casa chi dovrebbe svolgerlo” commenta Alessia Pantone, cofondatrice del Comitato in cui si sono organizzati i precari. “Intanto – aggiunge – il sessanta per cento di noi ha presentato ricorso al tribunale del lavoro per essere assunto a tempo indeterminato. Abbiamo superato un concorso pubblico e da anni facciamo un lavoro che non può più essere definito un’emergenza”.
Le prime udienze suiricorsi presentati quest’anno sono fissate a gennaio, ma all’inizio dell’anno dovranno arrivare anche le sentenze di primo grado per qualche ricorso pilota avviato tre anni fa. Forse riguarderanno precari che, intanto, saranno diventati disoccupati. Potrebbero però diventare una stangata per la Pubblica Amministrazione che sperava di giocarsi al risparmio l’ultima riforma dell’immigrazione.
Elvio Pasca