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Tassa sui permessi di soggiorno, la sentenza sui rimborsi agli immigrati

Ecco l’ordinanza del Tribunale di Napoli che ha accolto la richiesta di una famiglia straniera. Il testo integrale

 

Roma – 23 febbraio 2017 –  Le disposizioni che fissavano a 80, 100 o 200 euro il contributo per il rilascio e il rinnovo del permesso di soggiorno erano “del tutto illegittime”. Quelle somme sono state “indebitamente versate alla pubblica amministrazione” dagli immigrati e quindi agli immigrati vanno restituite.

È quello che ha deciso il 16 febbraio scorso il Tribunale di Napoli, accogliendo totalmente il ricorso presentato da una famiglia originaria del Burkina Faso con l’aiuto di Inca Cgil. Alla famiglia sono stati restituiti complessivamente 500 euro, versati ingiustamente per i loro permessi. 

Ne abbiamo già parlato qui, di seguito pubblichiamo invece il testo integrale dell’ordinanza firmata dal giudice Fabio Maffei (scarica)

 

 “Accoglimento totale del 16/02/2017

RG n. 16465/2016

n. 2016/16465 r.g.a.c.

Tribunale di Napoli

1a SEZIONE CIVILE

Nella causa civile iscritta al n. r.g. 16465/2016 promossa da:

D COMPAORE,

S GUEBRE,

K COMPAORE ,

con il patrocinio dell’avv. ANGIOLINI VITTORIO e dell’avv. CAROTENUTO MARIA AFRODITE, elettivamente domiciliati in VIA G. BONITO n. 1 NAPOLI presso l’avv. Luca Santini

RICORRENTI

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE MINISTERO DELL’INTERNO. PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, con il patrocinio dell’ AVVOCATURA DELLO STATO DI NAPOLI NAPOLI, elettivamente domiciliato in VIA A. DIAZ 11 80134 NAPOLI

RESISTENTI

Il Giudice dott. Fabio Maffei,

a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 2.2./2017, ha pronunciato, ex art. 702 bis c.p.c., la seguente

ORDINANZA

1.-Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. ritualmente depositato in data 25.5.2017, i ricorrenti come in epigrafe generalizzati hanno convenuto in giudizio il Ministero dell’Economia e delle

Finanze, il Ministero dell’Interno, la Presidenza del Consiglio del Ministri. Censurando la condotta

posta in essere dalle predette amministrazioni per aver determinato l’importo dovuto dai cittadini stranieri per la richiesta di rinnovo o rilascio del permesso di soggiorno in misura sproporzionata rispetto a quello richiesto al cittadino italiano per documenti di analoga natura, hanno domandato condannarsi le medesime alla restituzione degli importi a tale titolo versati.

Hanno, in particolare, dedotto:

-che, con la legge 15 luglio 2009 n. 94, è stato istituito il “ Fondo rimpatri” nel quale confluisce la metà del gettito conseguito attraverso la riscossione del contributo (di importo variabile tra 80,00 e 200,00 euro) previsto per la richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno;

-che la predetta norma ha trovato attuazione con decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze 6.10.2011, che ha determinato le diverse misure del contributo;

-che, con sentenza 2.9.2015, la Corte di Giustizia ha dichiarato che gli importi previsti dalla normativa italiana sono sproporzionati rispetto alle finalità della direttiva, ed atti a creare un ostacolo all’esercizio dei diritti riconosciuti dalla stessa;

-che, nonostante la decisione della Corte di Giustizia, il Governo non ha modificato il predetto D.M, così che i ricorrenti sono stati costretti a versare, per il rinnovo di permesso di soggiorno, gli importi di cui al citato decreto;

-che le citate disposizioni sono discriminatorie (in ragione della nazionalità) in quanto prevedono che i cittadini stranieri debbano corrispondere importi notevolmente superiori a quelli versati dai cittadini italiani per prestazioni dal contenuto analogo (quale, ad esempio, il rilascio della carta d’identità).

Ritualmente citati, si sono costituiti il Ministero dell’Interno, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Presidenza del Consiglio, evidenziando che la pronuncia della Corte di Giustizia si riferisce solo alla disciplina di conferimento dello status di soggiornante di lungo periodo e non può essere estesa ai contributi stabiliti per le altre tipologie di permesso di soggiorno. Hanno concluso, quindi, pertanto per il rigetto del ricorso, con vittoria di spese.

Acquisiti i documenti prodotti, depositate note conclusive, il giudice, all’esito della discussione dei difensori delle parti, ha riservato la decisione.

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2.-Il ricorso è fondato e può trovare accoglimento nei limiti che seguono.

I ricorrenti, tutti cittadini di Stati extracomunitari, lamentano che i contributi previsti dal DM6. 10.2011 -che ne determina la misura -non siano proporzionati agli scopi della direttiva 2003/109/CE e attuino una discriminazione tra cittadini italiani e cittadini stranieri.

La prospettazione di parte ricorrente merita accoglimento.

Ai sensi del considerando 9, 10 e 18 della direttiva 2003/109, “ le considerazioni economiche non dovrebbero essere un motivo per negare lo status di soggiornante di lungo periodo e non sono considerate come un’interferenza con i pertinenti requisiti” (9); “ occorre stabilire un sistema di regole procedurali per l’esame della domanda intesa al conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo. Tali procedure dovrebbero essere efficaci e gestibili in base al normale carico di lavoro delle amministrazioni degli Stati membri nonché trasparenti ed eque in modo da garantire agli interessati un livello adeguato di certezza del diritto. Esse non dovrebbero costituire un mezzo per ostacolare l’esercizio del diritto di soggiorno” (10); “ la determinazione delle condizioni per l’esercizio, da parte dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo, del diritto di soggiorno in un altro Stato membro contribuisce alla realizzazione effettiva del mercato interno in quanto spazio in cui è garantita a tutti la libertà di circolazione e può costituire altresì un importante fattore di mobilità, specie per il mercato del lavoro dell’Unione” (18).

L’articolo 19 della direttiva 2003/109, rubricato “Esame della domanda e rilascio di un titolo di soggiorno “, è del seguente tenore: “ Se ricorrono le condizioni di cui agli articoli 14, 15 e 16, il secondo Stato membro rilascia al soggiornante di lungo periodo un titolo di soggiorno rinnovabile, fatte salve le disposizioni sull’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sanità pubblica di cui agli articoli 17 e 18. Questo tipo di soggiorno è rinnovabile alla scadenza se ne viene fatta domanda. Il secondo Stato membro notifica la sua decisione al primo Stato membro” .

L’articolo 5, comma 2-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero (Supplemento ordinario alla GURI n. 191 del 18 agosto 1998), introdotto in tale decreto legislativo dall’articolo 1, comma 22, lettera b) della legge 15 luglio 2009, n. 94, Disposizioni in materia di sicurezza pubblica (Supplemento ordinario alla GURI n. 170 del 24 luglio 2009), prevede quanto segue: “ La richiesta di rilascio e di rinnovo del permesso di soggiorno è sottoposta al versamento di un contributo, il cui importo è fissato fra un minimo di 80,00 e un massimo di 200,00 euro con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dell’interno, che stabilisce altresì le modalità del versamento nonché le modalità di attuazione della disposizione di cui all’articolo 14-bis, comma 2 del decreto legislativo n. 286/1998…” .

L’articolo 14-bis del decreto legislativo n. 286/1998 istituisce e regola il Fondo nei termini che segue: “ È istituito, presso il Ministero dell’interno, un Fondo rimpatri finalizzato a finanziare le spese per il rimpatrio degli stranieri verso i Paesi di origine ovvero di provenienza. Nel Fondo di cui al comma 1 confluiscono la metà del gettito conseguito attraverso la riscossione del contributo di cui all’articolo 5, comma 2-ter, nonché i contributi eventualmente disposti dall’Unione europea per le finalità del Fondo medesimo. La quota residua del gettito del contributo di cui all’articolo 5, comma 2-ter, è assegnata allo stato di previsione del Ministero dell’interno, per gli oneri connessi alle attività istruttorie inerenti al rilascio e al rinnovo del permesso di soggiorno” .

Il decreto 6.10.2011, adottato a norma degli articoli 5, comma 2 ter, e 14 bis del decreto legislativo

n. 286/1998, fissa l’importo dei contributi da versare per il rilascio e il rinnovo di un permesso di soggiorno nel modo seguente: “ a) Euro 80,00 per i permessi di soggiorno di durata superiore a tre mesi e inferiore o pari a un anno; b) Euro 100,00 per i permessi di soggiorno di durata superiore a un anno e inferiore o pari a due anni; c) Euro 200,00 per il rilascio del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo e per i richiedenti il permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 27, comma 1, lett. a), del decreto legislativo n. 286/1998” .

La Corte di Giustizia ha da tempo chiarito che gli Stati membri possono subordinare il rilascio di permessi e titoli di soggiorno ai sensi della direttiva 2003/109 al pagamento di contributi e che, nel fissare l’importo di tali contributi, essi dispongono di un margine discrezionale (sentenza Commissione/Paesi Bassi, C-508/10, EU:C: 2012: 243, punto 64).

Tuttavia, la Corte ha precisato che il potere discrezionale concesso agli Stati membri dalla direttiva 2003/109 a tale riguardo non è illimitato. Essi non possono, infatti, applicare una normativa nazionale tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2003/109 e pertanto da privare quest’ultima del suo effetto utile (v. sentenza Commissione/Paesi Bassi, C508/10, EU:C: 2012: 243, punto 65).

Nella sentenza del 2.9.2015 (causa C-309/2014) la Corte -chiamata a decidere sul rinvio pregiudiziale del Tar Lazio, avente ad oggetto proprio il D.M. 6.10.2011 -ha affermato che: “ in base al principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione, i mezzi predisposti per l’attuazione della direttiva 2003/109 devono essere idonei a realizzare gli obiettivi perseguiti da tale normativa e non devono eccedere quanto è necessario per conseguirli (v., in questo senso, sentenza Commissione/Paesi Bassi, C-508/10, EU: C: 2012: 243, punto 75); “ pur se gli Stati membri sono legittimati a subordinare il rilascio dei permessi di soggiorno a titolo della direttiva 2003/109 alla riscossione di contributi, resta il fatto che, in osservanza del principio di proporzionalità, il livello cui sono fissati detti contributi non deve avere né per scopo né per effetto di creare un ostacolo al conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo conferito da tale direttiva nonché degli altri diritti che derivano dalla concessione di tale status, venendo altrimenti arrecato pregiudizio tanto all’obiettivo perseguito dalla stessa quanto al suo spirito” (v., in tal senso, sentenza Commissione/Paesi Bassi, C-508/10, EU: C: 2012: 243, punto 69).

La Corte di Lussemburgo ha pertanto concluso che:“ la direttiva 2003/109 osta ad una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, che impone ai cittadini di paesi terzi che chiedono il rilascio o il rinnovo di un permesso di soggiorno nello Stato membro considerato di pagare un contributo di importo variabile tra EUR 80 e EUR 200, in quanto siffatto contributo è sproporzionato rispetto alla finalità perseguita dalla direttiva ed è atto a creare un ostacolo all’esercizio dei diritti conferiti da quest’ultima.

Va, innanzitutto, rammentato che il dictum della Corte di Giustizia costituisce una regula iuris applicabile dal giudice nazionale in ogni stato e grado di giudizio; con la conseguenza che la sentenza costituisce fonte di diritto oggettivo (Cass. 17994/15; Cass. 1917/12; Cass. 4466/05; Cass. 857/95).

Merita, inoltre, di essere ricordato l’importante principio affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui l’interpretazione del diritto comunitario, adottata dalla Corte di Giustizia, ha efficacia ultra partes, sicché alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali e sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità (Cass. 22577/2014).

La Corte di Lussemburgo ha inoltre da tempo chiarito che “qualora sia stata accertata una discriminazione incompatibile con il diritto comunitario, finché non siano adottate misure volte a ripristinare la parità di trattamento, il giudice nazionale è tenuto a disapplicare qualsiasi disposizione discriminatoria, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione da parte del legislatore, e deve applicare ai componenti della categoria sfavorita lo stesso regime che viene riservato alle persone dell’altra categoria” (Corte di Giustizia ordinanza del 16 gennaio 2008, emessa nelle cause riunite da C-128/07 a C- 131/07).

Ciò posto, all’accertata incompatibilità della normativa italiana con la Direttiva 2003/109 deve poi aggiungersi che, con sentenza del 24.5.2016, il Tar Lazio, invocando il principio comunitario del c.d. effetto utile (che nel caso in esame si concreta nell’esigenza di non creare ostacoli al conseguimento dello status di soggiornante di lungo periodo conferito dalla direttiva), all’esito della decisione sul rinvio pregiudiziale, ha annullato il DM 6.10.2011 (limitatamente agli artt. 1, comma 1- che fissava i tre contributi, di 80,00, 100,00 e 200,00 euro, 2, commi 1 e 2, e 3).

Nella citata pronuncia, il giudice amministrativo ha affermato, in particolare, che l’effetto utile sarebbe compromesso anche dalla fissazione di un contributo eccessivo nei confronti di coloro che richiedono il rilascio di permessi di soggiorno più brevi, dato che il conseguimento di questi ultimi costituisce il presupposto logico e giuridico per il conseguendo status di soggiornante di lungo periodo. Nel dispositivo e nelle motivazioni della Corte, inoltre, non si ritrova alcuna espressa letterale limitazione del criterio enunciato alla fattispecie del permesso di soggiorno di lungo periodo.

Tale pronuncia è stata confermata dal Consiglio di Stato (vedi sentenza del 26.10.2016, n. 4487.

Ha chiarito, in particolare, il supremo consesso della giustizia amministrativa che, se è pur corretto affermare, come sostiene l’Avvocatura Generale dello Stato, che la direttiva n. 2003/109/CE regoli esclusivamente i permessi UE per soggiornanti di lungo periodo, non è altrettanto corretto dedurne che il diritto eurounitario sia estraneo, ed indifferente, al percorso normativo che nel suo complesso ogni singolo Stato delinea per il conseguimento di tali permessi.

Se fosse vero che solo il segmento finale di tale percorso e, cioè, quello esclusivamente concernente la procedura -e il contributo -per l’ottenimento del permesso UE per i soggiornanti di lungo periodo debba essere oggetto di normazione eurounitaria e di interpretazione da parte della Corte di Giustizia, ogni singolo Stato potrebbe introdurre una normativa sui permessi di più breve soggiorno tanto restrittiva da rendere sostanzialmente impossibile o eccessivamente oneroso per gli stranieri la legale permanenza nel loro territorio per i cinque anni necessari a stabilizzare la loro posizione all’interno dell’Unione europea e a consentirne l’inserimento nel tessuto socio-economico.

In questo modo la libertà di stabilimento, che pure la direttiva n. 2003/109/CE mira a proteggere, diverrebbe puramente teorica finendo di fatto per essere vanificata, perché -mediante l’introduzione di una legislazione nazionale relativa ai permessi di più breve durata, sostanzialmente penalizzante o addirittura proibitiva, già solo a livello economico, per la stabile permanenza degli stranieri nel territorio nazionale -l’obiettivo di conseguire i permessi di lunga durata sarebbe un traguardo irraggiungibile e illusorio per molti di essi, per quanto in possesso di tutti i requisiti previsti dalla normativa eurounitaria, con evidente elusione delle finalità perseguite dalla stessa direttiva n. 2003/109/CE.

Quanto all’aspetto qui controverso dei contributi richiesti per il rilascio e il rinnovo dei permessi, la Corte di Giustizia ha evidenziato tale pericolo ed ha censurato nel suo complesso la normativa italiana sullo straniero intenzionato a stabilizzarsi, avente tutti i requisiti previsti dalla direttiva, perché tale normativa una serie di ostacoli sproporzionati rispetto alla finalità perseguita dalla direttiva -l’inserimento dei lungosoggiornanti -e costituenti un ostacolo all’esercizio dei diritti che essa loro conferisce.

In conclusione, non può che ribadirsi che, alla luce delle decisioni sopra ricordate, le disposizioni che determinano la misura del contributo per il rilascio ed il rinnovo del permesso di soggiorno, nei limiti indicati, sono del tutto illegittime.

Ne discende che, stante l’illegittimità della fonte provvedimentale, la domanda ex art. 2033 c.c. è fondata, avendo sul punto la giurisprudenza di legittimità chiarito, da un lato, che il fondamento della ripetizione dell’indebito consiste nell’assenza di un rapporto giuridico tra le parti e il diritto di ripetere la prestazione ex art. 2033 c.c. trova la sua giustificazione nell’inesistenza della ragione d’essere del dovere della prestazione, nel difetto, cioè della causa dell’obbligazione di pagare cosicchè l’azione restitutoria va ricondotta allo schema dell’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., il quale ricorre tutte le volte in cui vi sia difetto di obbligazione o perché il vincolo non è mai sorto, o perché è venuto meno successivamente per effetto dell’annullamento del provvedimento amministrativo, ovvero per difetto di rescissione, inefficacia di un contratto connessa ad una condizione risolutiva avveratasi; dall’altro che la giurisdizione sulla domanda di restituzione di quanto indebitamente pagato in forza di un provvedimento amministrativo, proposta da chi abbia giudizialmente ottenuto il definitivo annullamento del provvedimento sul quale ultimo si fondava l’esborso divenuto indebito, appartiene al giudice ordinario (cfr.: Cassazione civile, sez. un., 24/05/2013, n. 12899).

I ricorrenti, cittadini stranieri, sono stati discriminati per motivi di nazionalità atteso che gli stessi in quanto stranieri richiedenti il rinnovo del permesso di soggiorno -, per ottenere il permesso di soggiorno, sono costretti a pagare una somma notevolmente superiore a quella pagata dagli italiani per usufruire di prestazioni dal contenuto analogo. In particolare, non è contestato che l’onere economico imposto al cittadino dello Stato terzo per ottenere il rilascio del titolo di soggiorno nel territorio nazionale risulti circa otto volte più elevato del costo per il rilascio di una carta d’identità nazionale.

In conclusione, in accoglimento della domanda formulata da parte ricorrente, da qualificarsi appunto in termini di richiesta di restituzione di somme indebitamente versate alla pubblica amministrazione, l’azionata pretesa può trovare accoglimento nei termini che seguono.

In assenza di specifici elementi (che spettava alla pubblica amministrazione provare, con particolare riferimento ai costi del servizio) e stante l’impossibilità di determinare in via giurisdizionale l’importo previsto per le tre tipologie di permessi di soggiorno (determinazione che rientra nella discrezionalità della p.a., da esercitare nei limiti tracciati dalla Corte di Giustizia e dalla presente decisione, così da esigere importi analoghi a quelli richiesti ai cittadini italiani per documenti di analoga natura), la domanda di restituzione va accolta con riferimento alla differenza tra l’importo previsto per il permesso di soggiorno elettronico, pari ad euro 27,50 (cfr. punti 9-13 della sentenza del 2.9.2015 della Corte di Giustizia) e quello versato dagli odierni ricorrenti.

Pertanto, le pubbliche amministrazioni convenute devono essere condannate a restituire a Compaore D (che ha versato euro 127,50 per il permesso di soggiorno biennale la somma di euro 100,00, mentre ai restanti ricorrenti, che hanno versato euro 255,00 ciascuno per 2 richieste di rinnovo del permesso di soggiorno) la somma di euro 200,00 ciascuno, oltre interessi dalla data della domanda (deposito del ricorso).

Tale condanna va pronunciata nei confronti dei ministeri resistenti in quanto effettivi beneficiari dell’indebito esborso.

Le spese di lite -da distrarsi in favore del difensore che si dichiara antistatario -seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Napoli, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda, istanza od eccezione disattesa, così provvede:

1) Accoglie il ricorso e per l’effetto condanna il MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE nonché il MINISTERO DELL’INTERNO, in solido tra loro, a restituire a D COMPAORE, la somma di euro 100,00, nonché a restituire ad S GUEBRE, ed a K COMPAORE la somma di euro 200,00 ciascuno, oltre interessi dalla data del deposito del ricorso sino al soddisfo;

2) Condanna i ministeri resistenti al pagamento delle spese di lite in favore dei ricorrenti, che liquida in complessivi euro 1450,00, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge -da distrarsi in favore del difensore che si dichiara antistatario.

Manda alla Cancelleria per le comunicazioni di Sua competenza.

Napoli, 4.2.2017

Il Giudice dott. Fabio Maffe”

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