Maioni: “Prevedere per la famiglia meccanismi di sostegno al reddito e integrare il lavoro domestiche con i servizi e le politiche sociali”
Roma – 2 dicembre 2013 – “Il lavoro di cura in Italia è una derivazione del lavoro domestico che, nel corso del tempo ha assunto una valenza socio-sanitaria, fino a divenire un sistema di cura privato erogato presso l’abitazione della persona assistita”.
Lo ha detto Raffaella Maioni, responsabile nazionale delle Acli Colf, intervenendo venerdì pomeriggio a Roma al seminario “Il lavoro di cura nel welfare che cambia. Antiche sapienze e nuova professione”.
“In questi anni è sorto un welfare familistico, fai-da-te, che ha visto come protagonisti principali le famiglie datrici di lavoro e le lavoratrici straniere – ha proseguito Raffaella Maioni – nel vuoto delle politiche pubbliche per i servizi alla famiglia. Per questo occorre oggi prevedere per la famiglia meccanismi di sostegno al reddito, come l’intera detraibilità del costo del lavoro di cura, e servizi idonei al suo fabbisogno”.
In base ai dati INPS sui rapporti di lavoro regolarmente registrati, nel 2011 in Italia si contano oltre 881mila lavoratori impegnati nel settore del lavoro domestico. Di questi l’80,3% (ca. 707mila) è di origine straniera (nel dettaglio, gli extracomunitari sono il 55,1%, ca. 486mila), mentre i restanti 173mila lavoratori sono di origine italiana. Si pensi che solo nel 2001 i lavoratori del settore erano ca. 270mila. In un decennio il lavoro domestico è esploso, triplicando il numero di addetti al settore.
La responsabile delle Acli Colf ha quindi avanzato la richiesta “di una maggiore integrazione del lavoro domestico e di cura con i servizi sociali, e con le politiche sociali. Ciò darebbe anche un contributo all'emersione dal nero del lavoro domestico e di cura, per un pieno riconoscimento della sua dignità e della sua qualità, in un quadro di legalità”.
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