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Banca d’Italia: l’immigrazione una risorsa per il Paese tra demografia e lavoro. Ma servono politiche lungimiranti

Roma, 18 aprile 2025 – In un’Italia sempre più segnata dal declino demografico e dalle sfide del mercato del lavoro, l’immigrazione si conferma un elemento cruciale per garantire crescita e sostenibilità sociale. È quanto ha ribadito Andrea Brandolini, vice capo del Dipartimento economia e statistica della Banca d’Italia, lo scorso 15 aprile durante un’audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulla transizione demografica.

Un motore demografico tornato in movimento

Dopo aver sostenuto l’aumento della popolazione fino al 2014, i flussi migratori hanno subito una battuta d’arresto durante la pandemia, per poi riprendere vigore negli ultimi anni. A spingere la ripresa, la regolarizzazione degli immigrati irregolari e l’arrivo dei rifugiati ucraini. Secondo i dati aggiornati al 1° gennaio 2024, in Italia risiedono 5,2 milioni di cittadini stranieri, a cui si aggiungono 6,7 milioni di persone nate all’estero. Una presenza che incide significativamente anche sull’economia: gli stranieri rappresentano oggi il 10,5% degli occupati, pur restando concentrati nei settori meno qualificati e con retribuzioni più basse.

Secondo le proiezioni dell’Istat, da qui al 2050 si prevede un saldo migratorio netto di circa 5 milioni di persone nello scenario mediano. Un apporto demografico che sarà decisivo per riequilibrare una popolazione che invecchia rapidamente e per rispondere alle esigenze delle imprese in cerca di manodopera.

Il nodo dell’integrazione e delle competenze

Se da un lato l’immigrazione è ormai imprescindibile, dall’altro persiste il problema dell’integrazione. Brandolini ha sottolineato come, nonostante le recenti riforme abbiano ampliato i canali legali di ingresso, restano fondamentali la semplificazione amministrativa e una maggiore capacità di attuazione. Serve un sistema che non solo gestisca i flussi, ma li orienti verso i bisogni reali del mercato del lavoro, creando le condizioni per un’inclusione effettiva.

Uno degli aspetti più critici riguarda la conoscenza della lingua italiana e il riconoscimento delle competenze professionali acquisite all’estero. I dati della European Labour Force Survey parlano chiaro: nel 2021, oltre la metà degli immigrati in Italia (51,1%) non conosceva l’italiano prima di trasferirsi, una percentuale superiore di quasi cinque punti rispetto alla media di Francia, Germania, Paesi Bassi e Spagna. Inoltre, meno di uno su cinque ha partecipato a corsi di lingua, contro più di uno su quattro nei principali Paesi dell’area euro.

Un appello per politiche più ambiziose

Il messaggio di Bankitalia è inequivocabile: per trarre pieno beneficio dall’immigrazione, è necessario uscire da una logica emergenziale e puntare su politiche strutturate, capaci di valorizzare anche l’immigrazione meno qualificata. Strumenti come la formazione linguistica e il riconoscimento delle qualifiche straniere sono fondamentali per liberare il potenziale produttivo degli immigrati e favorire la loro piena partecipazione alla vita economica e sociale del Paese.

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