Parte il Sostegno per l’Inclusione attiva, immigrati ammessi solo se hanno la carta di soggiorno. Guariso (Asgi): “Requisito illegittimo e senza senso”
Roma – 2 settembre 2016 – Parte il Sostegno per l’Inclusione attiva (SIA), la nuova misura nazionale di contrasto della povertà rivolta alle famiglie che si trovano in condizioni di “particolare fragilità sociale e disagio economico”. Se però sono famiglie di immigrati, essere molto povere non basta.
Il Sia prevede il rilascio di una carta di pagamento elettronica che permetterà ai titolari di fare la spese, comprare medicine o pagare bollette delle utenze domestiche. Lo Stato la caricherà con un contributo che varia dagli 80 a 400 euro al mese, in base al numero di componenti della famiglia. I beneficiari, si impegneranno a seguire percorsi (ricerca lavoro, formazione professionale, scuola ecc.) che dovrebbero renderli progressivamente autonomi. QUI I DETTAGLI
Da oggi 2 settembre si possono presentare le domande presso i Comuni. Sono richiesti la presenza di almeno un figlio minore, un disabile o una donna incinta, un Isee non superiore ai 3 mila euro, l’assenza di beni di valore, assegni di disoccupazione o sussidi superiori a 600 euro. Chi presenta la domanda deve anche essere residente in Italia da almeno due anni.
Infine, è anche la cittadinanza a fare la differenza tra poveri da aiutare e non. Via libera agli italiani, ai comunitari e ai loro familiari, mentre gli extracomunitari, come confermano i moduli pubblicati dall’Inps, sono ammessi solo se titolari del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (la “carta di soggiorno”), per asilo politico o per protezione sussidiaria.
Niente da fare, invece, per chi ha un “normale” permesso valido per lavorare (per esempio un permesso per motivi di lavoro o per motivi familiari), come circa la metà degli immigrati in Italia. Secondo la normativa europea, dovrebbe essere equiparato agli italiani nelle prestazioni sociali, ma anche stavolta il governo sembra essersene dimenticato e, mentre restringe la platea dei beneficiari, scopre il fianco ai ricorsi degli esclusi.
L’avvocato Alberto Guariso, in una dettagliata analisi pubblicata sul sito dell’Associazione per gli studi Giuridici sull’immigrazione, sostiene l’illegittimità di questa esclusione. Contesta però anche il ragionamento da cui sembra nata, e cioè “che lo straniero “ordinario” (quello cioè che non ha ancora conseguito il permesso di lungo periodo: e si tratta del 45% degli stranieri) non può essere migrante e povero allo stesso tempo: se in condizioni di povertà assoluta, è destinato inevitabilmente a perdere il titolo di soggiorno e dunque ad andarsene: dunque il migrante povero…non esiste ed è quindi inutile occuparsene”.
“Tutti sanno – sottolinea Guariso – che non è così: molti stranieri, alternando periodi di disoccupazione e periodi di lavoro precario a bassissimo salario (nella logistica, nelle pulizie, nel lavoro domestico etc.) rimangono legittimamente sul nostro territorio per decine di anni, senza mai poter accedere al permesso di lungo periodo; o per carenza di reddito (come noto per accedere al permesso è richiesto un reddito pari all’assegno sociale) o, più spesso, per l’impossibilità di accedere ad un alloggio idoneo (l’altra condizione richiesta dall’art. 9 TU immigrazione)”.
“Che senso può avere – chiede Guariso – escludere costoro, che sono e restano legittimamente presenti sul nostro territorio, da una misura di contrasto alla povertà?”
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