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Centri per migranti in Albania: pronto il modello italiano di gestione accelerata

Roma, 14 ottobre 2024 – Dopo un ritardo di cinque mesi, i nuovi centri per migranti in Albania sono finalmente operativi. Le strutture, frutto di un accordo tra il presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni e il primo ministro albanese Edi Rama, hanno richiesto interventi complessi per essere allestite, in particolare il sito di Gjader, che è stato consegnato solo ieri al Ministero dell’Interno italiano.

Questo progetto, unico nel suo genere, mira a gestire le richieste di asilo sotto la giurisdizione italiana ma in territorio albanese, con l’obiettivo di accelerare le procedure di rimpatrio. Gli ospiti dei centri saranno esclusivamente uomini provenienti da Paesi sicuri e non vulnerabili, con l’intento di processare rapidamente le loro richieste d’asilo.

Strutture e gestione

Le aree operative sono due: il porto di Schengjin, dove è stato allestito un hotspot per l’identificazione dei migranti soccorsi in mare da navi italiane, e Gjader, situata circa 20 km all’interno. Quest’ultima, un’ex base dell’aeronautica albanese, ha subito un’importante trasformazione grazie all’impegno dei militari del Genio italiano, che hanno ripristinato le infrastrutture idriche, fognarie e il terreno, rendendo l’area funzionale per le nuove strutture di accoglienza.

A Gjader sono stati realizzati tre centri distinti: un centro per il trattenimento di richiedenti asilo con 880 posti, un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) con 144 posti, e un penitenziario con una capacità di 20 posti. L’intera area è protetta da mura di cinta, telecamere di sorveglianza e forze di polizia italiane incaricate di mantenere l’ordine, in un contesto di giurisdizione italiana.

Procedure accelerate e diritti umani

Le domande d’asilo saranno trattate nell’arco di quattro settimane, con la possibilità di collegamenti in videoconferenza con il Tribunale di Roma per la convalida dei trattenimenti. Un elemento di criticità rimane proprio l’approvazione di questi trattenimenti: finora, solo una minima parte delle misure adottate dai questori italiani è stata convalidata dai magistrati. Tuttavia, il governo italiano guarda con ottimismo all’iniziativa, convinto che possa fungere da deterrente per i flussi migratori.

Un aspetto importante è la presenza di personale dell’UNHCR, incaricato di monitorare il rispetto dei diritti dei rifugiati e di assicurare che le procedure siano conformi agli standard internazionali.

Un modello che attira l’attenzione europea

Il ministro dell’Interno italiano, Matteo Piantedosi, ha illustrato il progetto al recente G7, evidenziando che ben 15 Paesi europei hanno chiesto alla Commissione Europea di valutare il modello italiano, considerato differente da altre soluzioni, come il contestato accordo tra il Regno Unito e il Ruanda. Questo esperimento, che coniuga la giurisdizione italiana con l’operatività in un Paese terzo, potrebbe diventare un modello replicabile su scala europea.

L’obiettivo dichiarato è chiaro: dissuadere i migranti dal tentare il viaggio verso l’Italia, sapendo che potrebbero essere trasferiti in Albania. Un messaggio che, secondo il governo italiano, contribuirà a ridurre la pressione migratoria sul Paese, offrendo al contempo una soluzione più efficiente per il trattamento delle domande d’asilo.

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