Roma, 21 novembre 2022 – Il Decreto flussi non funziona. O per lo meno non è sufficiente. La dimostrazione sono tutti quegli imprenditori che continuano a chiedere al governo di aumentare il numero delle regolarizzazioni dei lavoratori stranieri per affrontare la carenza di manodopera che affligge l’Italia. “Da mesi ci presentiamo in questura e mandiamo pec per avere novità, ma la pratica è ferma dal 2020 e nessuno ci risponde”, ha per esempio raccontato Chiara a Il Fatto Quotidiano.
Decreto Flussi, continuano gli appelli degli imprenditori
Chiara è un’imprenditrice di Milano che ha deciso di assumere un lavoratore straniero con un contratto a tempo indeterminato in uno dei suoi ristoranti. Nel frattempo, lo sta anche aiutando con la burocrazia affinché riesca ad avere tutti i documenti in regola. Tra l’altro, rispetto a questa odissea Chiara sta diventando un’esperta, visto che dei suoi 23 dipendenti solamente 4 sono italiani. “Non è stata una scelta. In una città come Milano, solo le persone straniere vogliono lavorare in questo settore. Nessuno degli italiani impiegati nei miei ristoranti fa il tempo pieno. Lavorano solo nel fine settimana o di mattina”, ha spiegato durante l’intervista.
I suoi lavoratori provengono principalmente dal Bangladesh, e ricoprono ruoli di ogni tipo, dal cuoco al lavapiatti, per stipendi che vanno dai 1600 euro ai 1800 euro al mese. Ogni volta, però, il problema del riconoscimento del permesso di soggiorno si ripresenta. Secondo il Decreto Flussi, infatti, un lavoratore straniero dovrebbe essere assunto a distanza, in modo che arrivi in Italia avendo già tra le mani un permesso di soggiorno di lavoro. La maggior parte delle volte, però, è complicato per un imprenditore scegliere un dipendente a distanza, e per questo il meccanismo non funziona come dovrebbe. Gran parte dei lavoratori quindi arrivano in Italia con un visto turistico, e poi una volta qui trovano un impiego e attendono la sanatoria per uscire dallo status di clandestino.
I tempi della burocrazia
Nel caso di Ali, invece, un dipendente di Chiara, il titolo per lavorare c’è ma è temporaneo in attesa della definizione della sua posizione e viene rinnovato ciclicamente. “Nel primo lockdown, quando gli operatori della ristorazione ricevevano aiuti dal governo, lui non aveva diritto a nessun sussidio perchè il suo permesso di soggiorno era in attesa di lavorazione. Ho dovuto pagare di tasca mia un’indennità, altrimenti sarebbe rimasto senza stipendio per mesi”, ha raccontato l’imprenditrice.
“Spesso allo scadere del visto turistico, che dura 90 giorni, gli immigrati non possono fare domanda se non sono arrivati con un permesso di soggiorno di lavoro. Così continuano a lavorare in posizioni irregolari fino all’arrivo di una sanatoria“, ha sottolineato poi Maurizio Bove, presidente di Anolf Cisl. Secondo le stime di Anolf, infatti, a oggi in Italia ci sono tra le 400 e le 500 mila persone rese irregolari da questo meccanismo. E nonostante questo, nel 2020 è stata prevista la possibilità di rilasciare un permesso di soggiorno temporaneo a chi avesse in atto un rapporto di lavoro irregolare. Il provvedimento, tuttavia, riguardava solamente alcuni settori come l’agricoltura, i lavori domestici e l’assistenza a persone fragili. Di fatto, quindi, una grossa parte di lavoratori è stata tagliata fuori.
“Pur di mettere in regola i dipendenti gli imprenditori hanno formalizzato contratti da domestici anche a persone che in realtà facevano altro“, ha spiegato Bove. “Non c’è volontà di risolvere la situazione perchè si preferisce gridare all’invasione”, ha aggiunto poi in conclusione.
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