È il primo nero ordinato sacerdote dalla diocesi di Milano. Ha lasciato l’islam e la fabbica in cui lavorava per prendere i voti
Milano – 12 maggio 2008 – È arrivato in Italia dalla Costa d’Avorio 16 anni fa con un visto turistico per raggiungere i suoi fratelli. Entrato presto nel vortice della clandestinità, i primi tempi ha lavorato in nero, è stato operaio e ha vissuto in attesa di una sanatoria, in preda alla paura di essere scoperto e rispedito a casa, dove la vita è dura. Marra Bangaly oggi è diacono e opera nella chiesa della Beata Vergine addolorata di San Siro, nella periferia di Milano. Studia teologia e a giugno sarà a tutti gli effetti prete della Diocesi ambrosiana.
Da musulmano, cresciuto in una famiglia islamica osservante, Marra è diventato cattolico praticante. E un bel giorno ha deciso di lasciare la fabbrica in cui lavorava per prendere i voti. "Frequentavo la parrocchia – racconta a La Repubblica di Milano – e a un certo punto ho sentito la chiamata, è nata la mia vocazione. Ero in cerca di una profondità, di una spiritualità nuova. Sentivo che quella era la mia strada”.
All’inizio non era stato facile convincere i preti e la Curia che volesse fermamente rompere con le sue origini religiose e con le tradizioni familiari. Ma ha avuto la fiducia di Don Ezio Castoldi che lo ha aiutato nel suo percorso. L’ha battezzato e lo ha portato in seminario. E ora Don Marra – primo nero ordinato prete dalla diocesi di Milano – è amato da tutti.
Marra Bangaly presto avrà anche la cittadinanza italiana, ma non dimentica la vita da immigrato. "Quando sono arrivato io, chi come me era clandestino – racconta ancora al quotidiano – si sentiva un rifiuto della società, aveva le mani legate, non poteva avere una casa e un lavoro normali, non poteva studiare né far niente, ma oggi la situazione è ancora più difficile di allora. Quelli come me continueranno ad arrivare e a chiedere di integrarsi nel vostro mondo. Su questo occorrerebbe pensare bene prima di fare demagogia".
a.i.