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FAI: IMMIGRATI GUIDANO CONNAZIONALI A SCOPERTA BRESCIA

(ANSA) – BRESCIA, 5 APR – Per la maggior parte si è trattato di una Brescia " diversa, che non conoscevano". Ma è del resto comprensibile che per gli immigrati, coinvolti nelle Giornate Fai di primavera, la città in cui sono giunti da migliaia di chilometri per lavorare avesse dei segreti. A svelarglieli nel week end sono i loro connazionali. Colf, metalmeccanici, infermiere che, cappellino verde del Fai in testa, guidano le comitive multietniche attraverso la storia di Brescia. E’ un percorso quello individuato dal Fai di Brescia che parte dalla spiegazione del nome della città. " Questa – racconta Doumbia, ivoriano, ispettore per il controllo della qualità in un’azienda metalmeccanica, parlando davanti al Foro romano – è la domanda più ricorrente. E io spiego che Brescia deriva da "Brik", che anticamente, voleva dire "collina". Si tratta, per l’appunto, della collina attorno a cui sono stati costruiti il foro, l’anfiteatro, il tempio". Il grosso delle visite, da parte degli immigrati è per il pomeriggio di sabato e l’intera giornata di domenica. I gruppetti si sono mescolati alla gente che affollava il mercato di piazza Loggia e forse, domenica, con la piazza completamente libera, le sfumature architettoniche potranno essere colte meglio. Ma comunque i palazzi a ridosso della Loggia hanno suscitato emozioni. " Oltre all’architettura – conferma Eugeniya, ucraina laureata in medicina e a Brescia un lavoro da infermiera – ha suscitato emozioni e domande la presenza, negli edifici di piazza della Loggia, di blocchi di pietra provenienti dal Foro romano incastonati negli edifici". Ad ascoltare la sua spiegazione, attentissima, è Svetlana, 38 anni colf. " In Ucraina – commenta – non abbiamo edifici così belli". E un po’ arrossendo aggiunge:" In piazza Paolo Sesto non ero mai venuta". La vita sociale degli immigrati a Brescia si svolge d’altra parte in zone che spesso non coincidono con quelle più artisticamente rilevanti nella città. Ma anche se vivono in centro, sono i loro pensieri ad essere distanti. E’ il caso del quartiere del Carmine a poche decine di metri da palazzo Loggia, per esempio, dove la presenza degli immigrati è altissima. Fino a qualche anno fa era noto soprattutto per i problemi di sicurezza, ora la situazione è sensibilmente migliorata. Quella di Brescia, in ogni caso è una provincia in cui vivono 175000 immigrati regolari provenienti da 114 nazioni. Ben 30.000 di loro risiedono in città. Nel capoluogo l’etnia più rappresentata è quella pachistana, in provincia, invece il gruppo più numeroso è marocchino. A fronte di tali numeri non sorprende di certo trovare un gruppetto davanti al Foro Romano in cui ci sono l’egiziano Osama, l’indiano Pritpal, il pachistano Mufassar, il marocchino Hamou, l’ucraina Julia e la moldava Maria. Frequentano tutti una scuola professionale e se la cavano con l’italiano. Una loro guida spiega che " questo è un anfitetro dove non si è mai visto del sangue, qua non c’erano gladiatori". A colpirli, poco prima, sono state però le tombe nelle chiese, una cosa assolutamente inedita per loro. A Mollah, bengalese, metalmeccanico a Brescia da 18 anni, i connazionali hanno chiesto come si " vivesse a Brescia 2000 anni fa". E sono soddisfatti ovviamente anche del gazebo del Fai, in piazza Paolo Sesto, dove vengono distribuiti gli stampati con i cenni storici sulla città, scritti in: bengalese, ucraino, arabo, francese, italiano, albanese, urdu. Quella che fino a pochi anni fa, prima delle grandi mostre, era conosciuta solo come città del tondino, si è mostrata nella sua arte a chi è arrivato da altre nazioni, spesso per produrre quel tondino. E da oggi, proprio perché conoscono ciò che è stata Brescia, alcuni immigrati dicono di "sentirsi ancora più parte del suo presente e del suo futuro". (ANSA).
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