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I bimbi di Treviso e noi

di SERGIO TALAMO ROMA, 29 luglio 2009 – Tutto uno scherzo, cosa volete che sia? Vogliamo davvero prendercela con i bambini di una prima media di Treviso che dicevano al loro compagno napoletano “sei figlio di camorristi”, “puzzi” e disinfettavano le penne dopo che lui le aveva toccate? Il ragazzo si è sempre più isolato, fino a non riuscire più neppure a studiare. Ora che è stato bocciato, sua madre gli cambia scuola. Come se a sbagliare fosse stato lui.

Ragazzate, solo ragazzate. Come del resto erano roba da ridere, bravate da amiconi con la birra in mano, anche i cori del deputato leghista Matteo Salvini: “Senti che puzza, scappano anche i cani, stanno arrivando i napoletani, colerosi, terremotati…”. Si gioca, suvvia. Come si gioca a tirar banane a Balotelli, a dire “albanese” a chi è vestito male, a dire “ebreo” a chi ci sembra avaro, a dare due sganassoni al nero che distribuisce volantini, a dire che tutti i romeni sono stupratori e tutti gli stupratori romeni.

Il razzismo scivola nei nostri comportamenti come un dettaglio, un’innocente licenza verbale. Quando ce la prendiamo con qualcuno per le sue origini o per la sua pelle, ci sentiamo un po’ tutti come i bambini di Treviso: irresponsabili, impunibili, coperti da una sorta di speciale immunità. E invece ad essere innocenti sono e restano soltanto quei bambini. A 11 anni si può essere anche spietati, crudeli, inumani. Si può uccidere con un gesto, con la violenza morale di un clan che si fa forte mettendo al bando il debole, il diverso, il gay, lo straniero. Si può essere così, quando si è ragazzini. Ma ci dovrebbe essere qualcuno che ti mette subito a posto, se necessario con le maniere forti. Qualcuno che ti insegna a rispettare il prossimo così come ti insegna a non rubare, non picchiare, non violentare.

Invece, dagli “adulti” questi comportamenti a sfondo razzistico sono sempre più tollerati; anzi, spesso sono imitati o addirittura ispirati. I professori di Treviso hanno detto alla mamma del bambino napoletano che erano tutte invenzioni, e che era il ragazzo ad essere scontroso e problematico. Così come i vicini di casa hanno protetto gli uomini che a Roma hanno mandato in ospedale l’africano, reo di averli disturbati con i suoi volantini. Professori, vicini di casa, e poi sempre più spesso genitori, amici, anche commentatori esterni che scrivono sui giornali “ma quale razzismo, sono solo esagerazioni, provocazioni verbali”.

Un bell’esempio che viene confermato dal Parlamento, dove l’intera maggioranza ha minimizzato i cori di Salvini. Ma non andate mai in uno stadio – hanno detto – non li sentite i complimenti che si scambiano i tifosi veneti e quelli napoletani? Una difesa d’ufficio che infrange 150 anni di storia delle istituzioni, accostando allegramente la Camera dei Deputati ad una curva. Per non dire del consiglio provinciale di Vicenza, dove una mozione bipartisan ha intimato un secco “alt” ai presidi scolastici meridionali. Del resto, in Veneto ci sono ben 17 insegnanti del Sud su 100. Pazzesco, no? C’è davvero di che alterare la razza.

Uno dei risultati di questa rimozione collettiva, per cui tutto è un gioco e tutto si fa gioco, è che il “meridionale” ritorna… a sentirsi tale. Dopo decenni, si rivivono i sintomi di un’apartheid nazionale tanto insensata quanto bruciante. Se ne avvertono echi anche in politica, dove gira il progetto di un “partito del Sud” sponsorizzato da personalità diverse come Miccichè, Lombardo, Vendola, Bassolino. Sarebbe il modo di rispondere al “clima insopportabile verso il Mezzogiorno, con punte di razzismo” (Bassolino). In realtà la politica dovrebbe fare l’opposto: al clima “permissivo” rispetto alle discriminazioni non si risponde con un partito etnico ma con la fermezza di chi non vuole tornare indietro, ai feroci e ridicoli stereotipi sul meridionale straccione cui fa da contraltare un meridionalismo lamentoso e senza dignità.

Solo se noi impariamo a fare gli adulti, i ragazzini impareranno qual è il punto oltre cui giocare non è più consentito.

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