Per Consiglio Italiano per i Rifugiati il piano della commissione è deludente, anche sul fronte delle risorse investite. “Non scaricare su Paesi di origine e di transito l’onere dell’accoglienza”
Roma – 8 giugno 2016 – Il documento della Commissione Europea per la cooperazione con i Paesi terzi è “poco convincente, poco innovativo e non consono all’obiettivo dichiarato di gestire meglio la crisi di rifugiati in Europa. Tuttavia alcune, poche, proposte presentate potrebbero creare delle alternative reali ai rifugiati. È il giudizio del Consiglio Italiano per i Rifugiati.
“L’aspetto positivo è che per la prima volta in questo documento la Commissione Europea, anche a differenza del Migration Compact presentato dall’Italia, include anche politiche di cooperazione con importanti Paesi di primo rifugio come il Libano e la Giordania dove attualmente sono ospitati milioni di siriani. Purtroppo non viene però specificato il tipo di interventi che in questi Paesi potranno e dovranno essere sviluppati. Siamo convinti che sia necessario investire nei Paesi di primo asilo, ma con un’ottica ben precisa. L’investimento deve essere fatto non per tenere i rifugiati lontani dall’Europa ma per dare ai rifugiati una opzione e una reale protezione anche in questi Paesi. Permettere loro di rimanere vicini alle loro case, qualora questo sia il loro desiderio, in piena sicurezza e con possibilità di integrazione. Un discorso di potenziamento del sistema di protezione per rifugiati che crediamo dovrebbe essere fatto anche per Etiopia e Niger ” dichiara Christopher Hein, portavoce del Consiglio Italiano per i Rifugiati.
Rispetto a questo aspetto positivo, altri sono quelli che ci lasciano invece perplessi. La riduzione dei morti in mare, sottolinea il Cir, viene citato come primo obiettivo, ma non ci sembra siano assolutamente adeguati gli strumenti identificati per perseguirlo. In tutto il documento l’unica via legale indicata per entrare in Europa è il reinsediamento. Uno strumento importante ma che prevede procedure lunghe e difficoltose. Rispetto ai 25.000 posti di reinsediamento che gli Stati membri hanno messo a disposizione nel luglio 2015, poco più di 6mila persone sono arrivate in Europa. Una misura positiva quindi, ma con limiti evidenti. È uno strumento cui gli Stati possono aderire volontariamente e sul quale l’UE non può imporre alcuna volontà. Una procedura che prevede il riconoscimento dello status di rifugiato da parte dell’UNHCR e che difficilmente può essere contratta in tempi brevi.
“La realtà è che sugli ingressi legali vengono spese davvero poche righe che non citano gli strumenti più innovativi e per noi più importanti: la possibilità di chiedere asilo nelle sedi delle rappresentanze diplomatiche nei paesi di origine e transito, i canali umanitari. Non vi è inoltre traccia di una nuova politica di ingressi legali per le persone che migrano per fini economici. In Italia, ad esempio, sono anni che i decreti flussi sono fermi: che ipotesi alternative agli ingressi irregolari stiamo lasciando a questi migranti?” continua Hein.
Nel documento si parla molto di ritorno e di accordi di riammissione: strumenti che vengono utilizzati solo nel caso di rimpatri forzati. La menzione ai programmi di Ritorno Volontario Assistito è fugace e citata come prassi per realizzare ritorni anche dai Paesi di transito. Crediamo che il ritorno volontario e concordato con i migranti sia di fondamentale importanza, e non vorremmo che una politica muscolare sul ritorno forzato venga utilizzato come deterrente per i migranti similarmente a quanto sta avvenendo come effetto immediato e più evidente dell’Accordo Ue-Turchia.
“Temiamo che sotto il cappello della cooperazione con i Paesi d’origine e i paesi di transito si nasconda in realtà la volontà di scaricare su altri l’onere di accogliere migranti e rifugiati. Questo documento sembra rieditare trend e politiche ben note. Anche se alcuni degli obiettivi declinati sono più che positivi, come ridurre le morti in mare e rendere più sostenibile a rifugiati e migranti la vita in luoghi limitrofi ai loro Paesi di origine, vorremmo capire come questi obiettivi si coniughino con il primario obbligo di garantire la protezione dei migranti forzati e di dare opportunità lavorative e di vita ai migranti economici” dice Fiorella Rathaus, direttrice del Cir.
“Infine, ci sembra davvero poco generoso l’investimento economico che inizialmente viene previsto. Con questo investimento – conclude Rathaus – non crediamo che sia possibile incidere realmente sulle condizioni di protezione e di vita nei Paesi di transito e di origine. Non crediamo che obbligatoriamente l’Europa sia la migliore soluzione di vita di migranti e rifugiati, ma siamo convinti che ogni ipotesi non possa prescindere dal pieno rispetto dei diritti e delle libertà di chi è costretto a fuggire”.