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Il commento. È questa la regolarizzazione di cui l’Italia aveva bisogno?

Roma, 19 maggio 2020 – Centinaia di migliaia di persone che attendevano, da anni, un provvedimento che permettesse loro di emergere dalla piaga del lavoro nero. Piaga che caratterizza, purtroppo, il modus operandi di troppi imprenditori del Belpaese, affaristi senza scrupolo di un’Italia che da decenni ha perso (o forse non l’ha mai avuta) la strada maestra da seguire.

Questa attesa ha dato i suoi frutti? Anche se teoricamente il nuovo provvedimento del Governo potrebbe interessare migliaia persone che lavorano stabilmente come colf, badanti o braccianti agricoli, sono tanti i dubbi che si possono sollevare sulla possibilità concreta che venga effettivamente utilizzato.

In queste ore, un numero crescente di “addetti ai lavori” stanno evidenziando la possibile inefficacia della regolarizzazione messa in campo da chi ha scritto la legge. Soprattutto appare altamente probabile che, in mancanza di incentivi ai datori di lavoro, non vi sarà molta disponibilità a provvedere alla regolarizzazione.

Come primo “je accuse” c’è da dire che, di fatto, che questa regolarizzazione è una sorta di premio per chi finora l’ha fatta franca sullo sfruttamento del lavoro in nero. Il datore di lavoro che abbia impiegato lavoratori irregolari può chiedere di regolarizzarli, senza sanzioni, pagando un forfait di 400 euro all’Inps. Ma viviamo in Italia, ci siamo abituati direte.

C’è poi la questione tecnica della nuova normativa. Non convincono, in primo luogo, le procedure “estremamente complicate” ideate dai creatori della legge: potrebbero rappresentare un serio ostacolo per chi si trova a vivere in condizioni di grande difficoltà sotto ogni punto di vista. Inoltre, si è portati a dubitare anche sulla reale intenzione e convenienza del datore di lavoro di procedere alla regolarizzazione o assunzione di lavoratori soprattutto in un momento di grave crisi sanitaria, sociale ed economica come quella attuale. Contestualmente, si fa sempre più forte il grido d’allarme dei rappresentanti dei datori di lavoro: è sempre più reale il rischio che il meccanismo messo in piedi non riuscirà a dare risposte concrete alle necessità degli imprenditori perché i tempi dello Stato non combaciano con quelli delle imprese.

Per concludere, c’è da rimarcare che una regolarizzazione “degna del suo nome” non debba limitarsi ad alcune categorie di lavoratori né avere scadenze a tempo finalizzate esclusivamente alla salvaguardia delle logiche di mercato. Il rischio, ad oggi, è quello di un provvedimento discriminatorio e parziale, che finisca per esautorare caporalato e clandestinità in funzione di un’emergenza piuttosto che di politiche attive e di lunga visione.
La pallida emersione del lavoro nero servirà a poco, infatti, se ad essere tutelate saranno le braccia e non le persone.

S.C.

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