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Il fallimento delle politiche migratorie: il prezzo dell’ignoranza

Se continueremo a guardare al futuro delle migrazioni puntando esclusivamente a politiche per bloccare o regolamentare i flussi, pensando che l’accesso al lavoro sia sufficiente per l’integrazione, ci aspetta un fallimento certo delle politiche migratorie e della convivenza all’interno delle nostre comunità. È urgente un cambio di prospettiva, un approccio olistico che ponga al centro non solo il controllo dei flussi, ma anche l’inclusione sociale e l’integrazione effettiva di chi cerca rifugio o opportunità nelle nostre terre. L’ignoranza di questa realtà costituisce un prezzo troppo alto da pagare.

Roma, 5 gennaio 2024 – Al culmine del 2023, il panorama delle migrazioni ha generato un tumulto senza precedenti con la notizia di un aumento del 50% degli sbarchi. Questi numeri, in realtà evidenti da mesi, sono stati celati dietro definizioni che li dipingevano in flessione verso la fine dell’anno, forse per sostenere l’efficacia delle politiche dissuasive adottate. Tuttavia, in un mondo dilaniato da conflitti frammentati, crescente violenza politica e sociale, e un aumento delle povertà, soprattutto quella alimentare derivante dai cambiamenti climatici, è illusorio – se non cinico – credere che politiche repressive possano portare a una diminuzione degli arrivi dei migranti nei prossimi anni.

Le politiche di contrasto e respingimento, purtroppo, hanno un unico risultato certo: rendere i viaggi dei migranti più estenuanti, complicati e, di conseguenza, potenzialmente più mortali. Sono politiche che si rivelano inefficaci nel loro intento sostanziale, poiché i trafficanti di esseri umani trovano sempre nuovi modi per aggirare blocchi o politiche escludenti. Nel corso del 2023, le politiche migratorie hanno puntato a ridurre gli arrivi, a bloccare le partenze, persino a spostare i migranti in Paesi terzi. Tuttavia, c’è stato scarso interesse per le vite perse in mare e per ciò che accade dopo lo sbarco. L’inclusione sociale è diventata un concetto dimenticato, e il Piano Nazionale d’Integrazione dei titolari di protezione internazionale è rimasto lettera morta, mentre dovrebbe essere al centro della programmazione futura.

La motivazione che spinge le persone a partire non è frutto dell’azione di marketing dei trafficanti, bensì della necessità di salvarsi o migliorare le proprie condizioni di vita. Il recente decreto flussi, che prevede l’ingresso regolare di oltre 400.000 lavoratori migranti in 3 anni, è un passo positivo, ma non è parte di un progetto più ampio sull’immigrazione: l’obiettivo è il mercato del lavoro, non l’integrazione reale e significativa di chi arriva nella comunità.

Dei più di 150.000 individui arrivati via mare, solo una piccola percentuale di coloro che non hanno diritto a rimanere in Italia verrà rimpatriata, a causa della mancanza di accordi con i Paesi di origine. La maggior parte rimarrà in Italia, confinati ai margini, invisibili, privi di diritti. Si stanno mettendo in atto tutte le misure per punire chi arriva in modo irregolare, giustificando che serva da deterrente per chi è in procinto di partire. Ma non è una politica lungimirante.

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