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‘Il giorno che la mia vita è cambiata’. Racconto di un giovane scappato dalla guerra

Vivevamo in un piccolo villaggio, eravamo quasi 150 persone, avevamo la gioia e la felicità. Un sabato del 2000 tutte le persone erano a casa a riposarsi. Mi ricordo dei bambini che stavano giocando a nascondino sotto il grande albero. Mia mamma stava cucinando, il vento era un po’ secco, i cani erano accanto all’entrata del villaggio. Mi ricordo come se fosse ieri. Quel giorno mia mamma mi ha raccontato la storia di quando era piccola, ho ancora il suono delle sue parole in testa. Io avevo sette anni ma non posso dimenticarlo. Mentre lei mi raccontava la storia, è arrivato un mio caro amico. Mi ha detto “andiamo a giocare con i bambini”, gli ho risposto “mia mamma mi sta raccontando una storia”. Ma la mamma mi ha detto “vai vai a giocare”. Dopo mi ha raccontato il resto.

Non sapevamo che era l’ultima giornata di gioia. Allora io e il mio amico siamo andati a giocare con gli altri dove c’era la legna. E’ in quel momento che tutto è cambiato. E’ iniziata la fine del nostro villaggio, è iniziata la guerra. Eravamo nell’erba e abbiamo visto delle persone armate. E’ lì che ho perso un amico. Era più grande di me. Mi ha detto “stai qui, io vado a informare gli altri”. Correva. Si è allontanato di 500 metri… Non potrò mai dimenticare il frastuono delle loro armi. Ho sentito gli spari e ho visto il mio amico a terra. Ho capito che era la fine di un’amicizia e l’inizio della solitudine. Non sapevo ancora quello che mi aspettava. Stavo nascosto, pensavo alla mia mamma e agli altri. Dopo trenta minuti è iniziato il fracasso delle armi e delle persone che gridavano. Li sento ancora… Credimi, nella mia testa, dopo anni, non riesco a dimenticarlo. Mentre ero nascosto pregavo. Ma non sono accaduti miracoli. Il ricordo di tutto questo, adesso non mi fa dormire la notte. I rumori sono troppi in testa. Dopo cinque ore, nel villaggio c’era calma. Ma da lontano vedevo un incendio. Allora sono andato vicino al corpo del mio caro amico, era freddo, non sentivo il suo cuore battere. Ho sempre quell’immagine in testa. Sono corso via. Sono arrivato all’entrata del villaggio. Ho visto i cani massacrati… e anche le persone massacrate.

Sto scrivendo questa storia con le mie lacrime… La gente piangeva. Avevo sette anni… come potevo aiutarle! Il ricordo è sempre in me. Anch’io piangevo mentre cercavo la mia mamma. Per tre ore l’ho cercata, ma non la trovavo. Avevano preparato delle tombe, mi ricordo i corpi… ancora sono nella mia testa… come faccio a dimenticarlo! Una donna mi ha preso le mani e ha detto “troveremo la tua mamma” ha detto, “penso che è andata a cercarti”. Speravo fosse la verità. Allora ci hanno detto che non potevamo più stare lì. Io non volevo, non volevo andare senza la mia mamma. Hanno detto “l’aspettiamo, l’aspettiamo… ma se non viene, domani dobbiamo andare”. Quella notte mi sono chiesto come avrei fatto senza di lei, come sarei stato in questo mondo, come… Avevo troppi come in testa. La mattina mi hanno svegliato. Quando ho aperto gli occhi accanto a me c’era la mia mamma. Mi ha abbracciato. Non posso dimenticare la gioia che ho provato. Ha detto “non ti lascerò più!”. Nei suoi occhi vedevo la felicità… e c’era felicità anche nei miei. Ma dovevamo andare via. Non avevamo più niente. Dovevamo percorrere 200 Km prima di arrivare in una città. Durante il cammino abbiamo trovato un piccolo villaggio, era deserto, c’era una bambina però. Penso che avesse la mia età. E’ rimasta con noi. La strada era lunga, la fatica era tanta. Mi ricordo tutto come lo vivessi adesso. Ho visto cose che non avevo mai visto. Le immagini sono ancora nella mia testa.

Abbiamo trascorso cinque giorni a camminare, senza cibo. Spesso mangiavamo i frutti degli alberi anche se non erano maturi. Mi ricordo come fosse stamattina… durante quel tragitto c’era un vecchio che non riusciva a camminare. Diceva “non aspettatemi, andate… io ho già fatto la mia vita… andate, per favore… occupatevi dei bambini, loro sono ancora piccoli”. Ho sempre in mente questi ricordi. Mi chiedo come posso dimenticare. Provo con tutte le mie forze ma non ci riesco. Questa storia è molto pesante, mi porta verso la tomba. Quando sento un rumore, ho paura. Gli altri mi dicono che non sono un uomo se ho così tanta paura. Li guardo senza dire niente… Il vecchio era lì. Vedevo la mia mamma stanca, la fatica era evidente sul suo volto. Le mancavano le forze. Ma in quei giorni ho imparato che le madri hanno una forza che i padri non hanno. So che ti stai chiedendo dov’era mio padre. Ti devo dire che non ho mai visto mio padre. Sono nato dopo che è morto. Siamo arrivati in un piccolo villaggio, io ero con la mia mamma. Abbiamo visto donne che piangevano… Le persone armate avevano massacrato gli uomini. Le donne sono state costrette ad andare con alcuni soldati. Le hanno violentate. Dovevamo dormire lì. La gente ci ha aiutato… una signora mi ha dato una banana. Ha detto alla mia mamma che io le ricordavo suo figlio. Potevo vedere il suo dolore. Il tempo era favorevole alla partenza e allora abbiamo continuato il cammino. Lungo la strada abbiamo incontrato dei soldati in un furgone. Ci hanno detto che non c’era spazio per tutti noi. La mia mamma e gli altri hanno detto a loro, gli hanno detto “per favore, prendete i bambini con voi! Noi andremo a piedi”. Ho gridato “mamma, non voglio andare senza di te!”, piangevo, non volevo andare. Anche lei piangeva. Mi ha detto “vai, va’! Ci vedremo lì, sono solamente 25 km, devi stare con Sofia, non perderla d’occhio, stai attento!”. La mamma mi ha dato dei consigli… ma il tempo stringeva, dovevamo separarci. E così io e Sofia siamo saliti nel furgone. Mentre viaggiavamo pensavo alla mia mamma e agli altri. Dopo quasi un’ora siamo arrivati al centro d’accoglienza per i rifugiati. Era pieno di persone, alcune malate, altre ferite. Soffrivano. Sento ancora nella mia testa la loro voce. I loro lamenti sono ancora nelle mie orecchie… come faccio a dimenticare? All’ospedale non potevano fare niente, non c’era soluzione… non c’erano medicine. Ho chiesto agli operatori di andare a cercare la mia mamma. Mi hanno risposto ok… ma dopo un’ora niente… non la vedevo. Sofia era triste… non posso dimenticare… non diceva nulla, era in una profonda tristezza. I suoi occhi erano pieni di lacrime, piangeva dentro di lei. Dopo un giorno ancora non vedevo la mia mamma. Chiedevo agli operatori… ma nulla, ognuno era preso dai suoi problemi. Era l’inizio della solitudine. Che si trova ancora dentro di me.

Ancora oggi cerco la mia mamma. Mi chiedo dov’è andata… se vive ancora… non lo so… ma i miei pensieri vagano ogni giorno verso la morte. Dopo la guerra mi hanno affidato a una famiglia, dove i genitori mi hanno cresciuto e mi hanno dato tutto. Ma c’era qualcuno che mi mancava… e ancora mi manca. Per questo mi sembra di avere sempre le lacrime negli occhi. Come posso vivere tranquillo! Con loro sentivo di non essere nella mia famiglia. Facevo finta di niente, come se tutto fosse normale. Ho iniziato ad andare a scuola. Dopo tre anni di scuola ho dovuto interrompere. Il padre non poteva mantenere i miei studi. La mia nuova mamma mi aveva accettato come suo figlio. Mi ricordo i suoi consigli… mi diceva “figlio, stai tranquillo, la vita è dura per te ma ti conosco, sei bravo, abbi pazienza… quando passerai dei momenti difficili ricordati sempre chi sei”. Lei diceva “non ho mai cambiato il tuo nome perché desidero che ti ricordi chi sei. Io non voglio prendere il posto della tua vera mamma nel tuo cuore”. E questo me lo diceva sempre.

Gli anni passavano. Lei si è ammalata, siamo andati all’ospedale. Dopo le analisi le dissero di rimanere lì. L’ospedale era molto lontano dalla nostra casa e io dovevo camminare per quasi 20 km per raggiungerla. Non avevo soldi per l’autobus… come potevo fare! Dopo tre settimane i dottori hanno detto che poteva tornare a casa, che stava ritrovando la salute. Ma mi ricordo i suoi occhi quando cercava di nascondere la sofferenza, il dolore e la fatica. Come posso vivere con tutte queste cose nella mia testa! Dopo due giorni che era tornata a casa aveva cominciato a stare male, sempre male. Non voleva più parlare con gli altri, parlava solo con me. Mi amava di cuore, si fidava di me. Il giorno che mi hanno detto di farle prendere una medicina, ho capito che era alla fine… si vedeva che era stanca. Ma io non riuscivo a dirle nulla. Ho trascorso quasi tutta la notte accanto a lei. Poi sono andato a riposare un po’. Dopo tre ore sono tornato nella stanza e qualcuno è venuto e mi ha detto “sai, la vita è fatta così… un giorno tutti dobbiamo andarcene… è così”. Gli ho risposto “scusami, non ti capisco… che vuoi dire?”. Mi ricorderò per sempre che lì, in quel momento, ho saputo che io non sono fatto per essere felice. Avevo perso una seconda madre. Mi sono avvicinato al suo cadavere, l’ho abbracciata. Mi ricordo ancora come erano soffici i suoi capelli nelle mie mani. Dopo il funerale, un mese dopo, ho discusso con il padre.

Un giorno sono tornato a casa e ho visto che aveva buttato in strada i miei vestiti. Mi ha detto “vai via! Non ti voglio più a casa mia!”. Le mie sorelle piangevano. Mi hanno chiesto scusa per il comportamento del loro padre. Ma lui era irremovibile e mi ha insultato. Non aveva mai voluto sapere niente di me, mi aveva accettato solo per fare un piacere alla moglie. Ma visto che lei non c’era più, era tempo per me di andarmene. Non trovavo le parole… mi sono avvicinato alle mie sorelle e ho detto “non dovete piangere per me… la mia vita è così… Dio mi ha dato questa vita… la colpa non è di nessuno. Dio ha dato il cervello alla gente che fabbrica armi… Dio ha dato la forza alle persone che fanno la guerra… ma loro usano male i suoi doni. Se non ci fosse stata la guerra, ora sarei con la mia famiglia a casa nostra”. Mi ricordo il dolore che avevo nel cuore… la tristezza. Ho pensato che ci sono persone che non hanno bontà… e sono andato via.

I genitori di un mio amico mi hanno accettato nella loro famiglia. Mi chiedo sempre se un giorno potrò costruire la mia… Mentre vivevo lì prendevo delle medicine per dormire. Mi ricordo che in quei giorni ero stanco di vivere. Volevo uccidermi. La madre del mio amico mi ha trovato per terra nella stanza e mi ha portato all’ospedale. Mi sono svegliato dopo due giorni. Lei mi ha detto di non rifarlo più, che dovevo pensare alle due madri che dal Cielo mi guardavano. Prima di fare queste cose dovevo chiedermi come si sarebbero sentite ad aver fatto tanti sacrifici per nulla… se io mi uccidevo. Così so che devo vivere, anche se è dura. Dio ha in serbo qualcosa di bello per me in futuro. La mamma del mio amico me lo ripeteva in continuazione, di non arrendermi… così ho iniziato a credere nella vita, a credere nel futuro. Sono stato quasi due anni con loro e la guerra è cominciata di nuovo… ancora. Perciò sono andato via dal mio Paese. La guerra aveva già distrutto la mia vita, non potevo aspettare che mi portasse via anche la nuova famiglia che avevo trovato.

Quindi ho iniziato a cercare un posto dove vivere senza la paura del domani… dove poter vivere tranquillo, in pace, felice… dove poter ricostruire la mia esistenza, il mio futuro. Dopo tanti anni di faticoso cammino… sono arrivato qui in Italia. Questa è la storia della mia vita. Ho voluto scriverla per non portare per sempre questo terribile peso dentro di me. Adesso spero di trovare pace… di vivere tranquillo… nella gioia, nella felicità. E auguro questo a tutti. Il desiderio di soldi e di cose materiali toglie la vita alle persone. Uniamoci e cerchiamo di vivere in pace in questo mondo.
Fine.
A.T.

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