Roma, 12 maggio 2025 – Una storia paradossale, di legalità cieca e di umanità tradita. Zakaria Nagda è un giovane marocchino di 29 anni che vive a Torino da meno di un anno. È arrivato passando per Spagna e Francia, attraversando confini e speranze, fino a stabilirsi nel quartiere Madonna di Campagna. Qui, ogni giorno all’alba, monta i banchi del mercato in piazza della Vittoria. Lavora in prova, senza contratto, ospite di un collega, ma con un obiettivo chiaro: costruirsi una vita onesta e portare con sé la moglie, ancora in Marocco.
Tutto cambia il 7 maggio, alle tre del mattino. Un ladro straniero compie una spaccata al Carrefour. La polizia interviene e trova due uomini sulla scena: uno è Zakaria, intento nel suo lavoro; l’altro, nascosto sotto un’auto, è il ladro vero. Ma inizialmente, gli agenti scambiano Zakaria per il colpevole. È lui, con calma e lucidità, a indicare dove si nasconde il vero autore del furto. La polizia lo ascolta, arresta il ladro e recupera la refurtiva.
Sembra una storia a lieto fine. Il cittadino collabora con la giustizia e aiuta le forze dell’ordine. Due ore dopo, le immagini delle telecamere confermano che Zakaria era lì per lavorare. Scagionato da ogni sospetto, si aspetta un grazie. Invece riceve un decreto di espulsione. Perché? Non ha ancora presentato la richiesta di permesso di soggiorno, non avendo un contratto regolare che gli consenta di farlo. E la legge, inesorabile, gli notifica l’ordine di lasciare il Paese entro sette giorni.
«Io mi fidavo delle autorità», ripete. «Pensavo di aver fatto una buona azione. Non voglio lasciare l’Italia. Voglio solo lavorare e vivere onestamente». La sua voce è carica di smarrimento e dignità. Zakaria non si nasconde, non fugge. Chiede aiuto. Chiede giustizia.
Il suo caso solleva interrogativi profondi sull’equilibrio tra legge e umanità. È giusto punire chi ha aiutato lo Stato solo perché non ha ancora potuto regolarizzarsi? È giusto applicare meccanicamente una norma, ignorando il contesto e la buona fede?
La storia di Zakaria è il volto di una burocrazia che, anziché accogliere chi dimostra impegno e rettitudine, lo respinge. Una vicenda che interroga le coscienze e reclama una risposta. Perché se fare la cosa giusta porta alla punizione, chi sarà disposto a farla domani?