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La storia di Fatima, un’immigrata “invisibile” dimenticata dallo Stato

immigrati

Roma, 19 gennaio 2020 – Ci sono persone a cui lo Stato volta le spalle. Sono gli “invisibili”: uomini, donne e bambini che le Istituzioni fingono di non vedere, come se non esistessero. Ma ci sono, e avrebbero bisogno di aiuto per integrarsi. Da soli, spesso, non ce la fanno. E non ci riescono proprio perchè il sistema non glielo permette. La storia di Fatica racconta questo: la difficoltà di entrare per davvero a far parte di un Paese, dei suoi servizi e della sua assistenza. Solamente in Campania, si contano oltre 98 mila “immigrati invisibili”, persone senza lavoro, senza permesso di soggiorno e ora, con l’emergenza sanitaria, senza alcun sostegno.

commissione europea

Immigrati, la storia di Fatima

Fatima ha 28 anni, è nigeriana e sta aspettando la nascita del suo terzo figlio. E’ scappata dall’Africa sperando di trovare in Italia una vita migliore, lontana da guerre e povertà. Quella con cui si sta scontrando, però, è una realtà molto diversa da tutto ciò che poteva immaginare. In una Napoli piegata dal coronavirus sta scoprendo solo emarginazione e solitudine. Lei, come i quasi 100mila altri “immigrati invisibili” che vivono in Campania. “Sono incinta, non ho un lavoro e un soldo in tasca, ma non perdo la fede”, ha raccontato a Il Riformista.

I suoi occhi scuri fanno percepire il dolore che ha provato. E’ arrivata in Italia tramite i trafficanti di esseri umani, passando prima dalla Libia. Proprio lì lei, suo marito e i suoi figli sono stati sequestrati e portati in un campo di detenzione. Ancora fatica a parlare di quel luogo terrificante, perchè il solo pensiero le riporta alla mente le botte, gli insulti e la violenza che ha dovuto subire. “Non riusciamo a quantificare la durata della prigionia. Fatima non lo sa, non lo ricorda, non lo dice. Però ricorda la fame, la sete, le umiliazioni, la paura di quei giorni interminabili quanto era sempre notte e i suoi bambini piangevano ininterrottamente”, sottolinea Camilla Iovino, segretaria della Uil Campania con delega all’immigrazione.

patto ue immigrazione

Immigrati, il viaggio della speranza verso l’Italia

Sembrava impossibile, ma poi un giorno è arrivata la liberazione. Così Fatima, la sua famiglia e tanti altri immigrati sono saliti a bordo di un gommone con destinazione Lampedusa. Hanno affrontato un viaggio difficile, interminabile, freddo, tempestoso. “In lontananza si sentivano le urla dei miei compagni di viaggio finiti in mare che imploravano aiuto. Poi, dopo qualche ora, sulla superficie c’erano decine di cadaveri. Un scena che non dimenticherò mai”. Insieme al loro gommone, infatti, ne era partito un altro. Un’onda troppo grossa, tuttavia, lo ha travolto e affondato. Con esso, anche tutti gli immigrati che ci viaggiavano sopra sono stati inghiottiti dal mare.

Dopo qualche giorno passato a Lampedusa, Fatima e la sua famiglia decidono di scappare dalle autorità che li stavano attendendo per portarli in un centro di accoglienza. E così inizia la loro vita per strada, verso Napoli. Lì, infatti, Fatima ha una sorella che li aspetta per ospitarli. Una volta arrivati nel capoluogo campano il marito trova lavoro come magazziniere, e lei diventa una venditrice ambulante. Non hanno niente: nessun documento, nessun permesso di soggiorno, ma riescono a sopravvivere, a prendere una casa in affitto, a mettere il cibo in tavola. Tecnicamente, però, per lo Stato italiano sono persone “invisibili”, immigrati che non esistono e che quindi non hanno diritto a nessuna assistenza.

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“Servono misure in grado di far integrare migliaia di disperati”

Dopo il lungo e disperato viaggio, la vita sembra aver preso una piega diversa finché un giorno il marito viene coinvolto in una rissa e di seguito arrestato. Fatima si trova sola, incinta del loro terzo figlio e nel pieno di una pandemia globale. Viene cacciata dal proprietario di casa, e questo la costringe a tornare dalla sorella, nella periferia di Napoli. Non potendo usufruire di nessun sostegno economico o sanitario, si rivolge ad associazioni e sindacati, coloro che si prendono cura di tutti gli immigrati invisibili come lei. “Storie come quella di Fatima sono un colpo al cuore. Il nostro impegno non basta: servono misure che consentano a migliaia di disperati di vivere in sicurezza a Napoli e di integrarsi nella nostra società anche a dispetto del Covid”, sottolinea Iovino.

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