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Istat: specializzazioni agricole richiamano flussi migratori

L’immigrazione diventa sempre più indispensabile per le aziende del settore ROMA, 29 maggio 2009 – L’agricoltura chiede manodopera e l’immigrazione diventa sempre di più un serbatoio di forza lavoro condizione indispensabile per non far piegare su se stesse le aziende agricole che già devono far fronte a costi di produzione spesso maggiori dei margini di ricavo.

Secondo quanto rileva il Rapporto annuale dell’Istat, nel corso del 2007, gli ingressi per motivi di lavoro – non solo quello legato all’agricoltura – assumono nuovamente un ruolo preminente nel determinare l’aumento della presenza straniera regolare.

"L’aumento dei permessi di lavoro infatti – riporta l’Istituto nazionale di statistica – è più del doppio (150 mila) rispetto a quello dei permessi rilasciati per il ricongiungimento familiare, pari a 71 mila". In cima alla lista l’Emilia Romagna, con l’8,6 per cento di immigrati sul totale dei residenti, poi la Lombardia con l’8,5 per cento e il Veneto con l’8,4 per cento. Nell’Italia centrale solo l’Umbria fa registrare livelli simili a quelli del nord Italia, con l’8,6 per cento. Tutte regioni vocate all’agricoltura e di conseguenza alle raccolte stagionali nei campi. Sul piano lavorativo infatti gli immigrati incidono su alcuni sistemi particolari.

Stando a quanto rileva il Rapporto annuale dell’Istat, ad attirare le comunità polacche, serbo-montenegrine e macedoni – dando vita a iscrizioni dall’estero – sono soprattutto i sistemi locali del lavoro caratterizzati dalla coltivazione della vite, come quelli di Canelli, Dogliani, Montalcino e Gualdo Catteneo. Molti anche gli immigrati provenienti dall’India. Se infatti tra il 2005 e il 2006 i flussi di iscrizioni dall’estero di cittadini del Pakistan risultano avere un forte impatto su molti sistemi a vocazione industriale, "le immigrazioni di cittadini indiani – si legge ancora nel rapporto annuale dell’Istat – investono soprattutto i sistemi locali a vocazione agricola e zootecnica".

Appare quindi che i sistemi locali del lavoro con una netta e specifica vocazione produttiva "risultano particolarmente attraenti per gli stranieri, che anche in questo caso – si legge nel Rapporto – sembrano però seguire rotte determinate sia dalle particolari specializzazioni, sia dagli effetti di richiamo delle catene migratorie".

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