Quando sento le domande del tipo: cosa si prova a lasciare la propria terra per l’Italia? E quando sento le frasi come: tornate a casa vostra; aiutiamoli a casa loro; l’immigrazione è un’invasione; non esistono italiani neri, ecc., mi pongo delle domande guardandomi intorno.
Rileggo un po’ la storia degli uomini che lasciarono le loro patrie per la scoperta dei nuovi mondi. Togliendo ogni forma di emozione nelle loro motivazioni, mi rendo conto che il nocciolo della questione è comune a tutti: la scoperta del nuovo orizzonte (che sia stato spinto dalla necessità, svago, guerra, avventura o qualsiasi altra forma di interesse).
Il viaggio è un fatto che accomuna tutti dai tempi antichi.
L’uomo per evolversi si è sempre spostato. Il desiderio di un cambiamento cioè il viaggio è paradossalmente il primo passo verso un inizio di crescita. Quindi nessun uomo può negare ad un suo simile la possibilità di scoprire, di migliorare, di cambiare, di sanare, o di salvare la propria vita.
L’uomo è nomade nel suo DNA ed è in costante spostamento e cambiamento quanto la terra ruota intorno a sè stessa ed intorno al sole.
Ogni meta nuova che scegliamo per ricominciare ci obbliga a cambiare vita, ad adottare nuove usanze, ad abbracciare nuove culture e di conseguenza ad adattarci quindi definendo la nuova meta la nuova terra – la nuova casa. Portiamo dentro di noi il meglio del passato o della patria precedente.
Solo così crescendo possiamo avere più materiale, più innovazioni per aiutare e migliorare chi è rimasto indietro nel bisogno. Ci ritroviamo a costruire un nuovo mondo contribuendo per i benefici della nuova terra e il nuovo popolo e non ci dimentichiamo delle nostre radici.
Il viaggio arricchisce. L’immigrazione è la forza che crea un ponte pacifico, che rinforza e che fa nascere nuove speranze di vita, e credo che la città che ci adotta sia un focolare, una culla e che il colore non conti.
Chef Victoire Gouloubi