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La Cassazione: asilo solo a gay perseguitati

ROMA – "La libertà sessuale va intesa come libertà di vivere, senza condizionamenti e restrizioni, le proprie preferenze sessuali". E’ giusto, quindi, proteggere un immigrato clandestino che, a causa delle sue inclinazioni sessuali, potrebbe essere perseguitato nel proprio paese.

Lo sottolinea la Cassazione avvertendo, però, che occorrono prove certe per evitare l’espulsione ed evitare strumentalizzazioni. Dichiararsi gay, insomma, non basta.

In particolare, la Prima sezione civile – con la sentenza 16417 – è stata chiamata ad esprimersi sul caso di un immigrato senegalese, Cheick F. che davanti al Giudice di pace di Torino aveva fatto ricorso contro l’ordinanza di espulsione in Senegal. Il ragazzo aveva dichiarato di non poter tornare in Senegal in quanto gay e l’omosessualità in quel paese è punita con una pena di reclusione da uno a cinque anni. A prova della sua omosessualità aveva esibito l’iscrizione all’Arci-gay e ad un’altra associazione simile. Il giudice di Torino ha dato ragione all’immigrato scrivendo che "l’omosessualità va riconosciuta come condizione degna di tutela, in conformità ai precetti costituzionali" e quindi rientranti nelle ipotesi previste dalle norme sull’immigrazione laddove vietano l’espulsione di stranieri verso stati omofobi.

La decisione, però, non era piaciuta alla Procura di Torino che ha reclamato in Cassazione sostenendo che "non basta l’iscrizione ad associazioni di omosessuali per dimostrare di esserlo". Gli ermellini, pur dando ragione al Giudice di pace sulla difesa della libertà sessuale, hanno precisato che occorre stare attenti ad evitare che chiunque si dichiari gay ottenga un facile permesso a rimanere in Italia. Per questo, la Cassazione ha osservato che la semplice iscrizione alle associazioni (senza data, tra l’altro) non è una prova certa di omosessualità. Tanto più che all’Arci-gay possono iscriversi anche coloro che sostengono semplicemente le finalità dell’associazione. Inoltre il giudice di Pace non aveva verificato l’esistenza di una effettiva legge punitiva in Senegal e se punisse l’omosessualità in quanto tale o solo i comportamenti ostentativi inaccettabili per quella cultura.
E’ stato pertanto accolto il ricorso del procuratore di Torino: adesso il giudice di Pace dovrà approfondire le prove sull’omosessualità di Cheik e sulla legislazione senegalese.

(30 luglio 2007)

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