in

La Fame di Camilla, talento italo-albanese

A Sanremo il gruppo di Ermal Meta. Il cantante: “Non mi faccio mettere sotto dal razzismo” Roma – 5 febbraio 2010 – Testi e linea melodica che ricordano i grandi cantautori, con un’originalità che ti colpisce al cuore. Anche questo è La Fame di Camilla, band pop rock fondata a Bari nel 2007 da Ermal Meta e altri tre musicisti.

Tra qualche giorno,  per la categoria Nuova Generazione, porteranno a Sanremo  la canzone "Buio e Luce”, scritta e cantata da Ermal. “Buio e luce sono figli del sole” dice il testo, come per dire che il buio non può impedire il ritorno della luce del sole, che la ragione non può cancellare l’identità del cuore.

famedicamillabig5.pngErmal Meta ha 28 anni e da quando ne aveva poco più di 10 vive nel capoluogo pugliese, dove è arrivato insieme alla famiglia dall’Albania. Ha cominciato a studiare il pianoforte nella sua città natale, ha continuato da autodidatta in Italia, scoprendo anche la chitarra, e non ha mai smesso di cantare. Lo abbiamo incontrato qualche giorno fa a Roma dove registrava i nuovi pezzi del disco in uscita.

La Fame di Camilla è a Sanremo Giovani, e per te non è la prima volta: quattro anni fa eri su quel  palcoscenico con il gruppo Ameba4…
Sono molto emozionato, come fosse la prima. Questa volta vado a Sanremo con una canzone scritta e cantata da me. La canzone porta le mie emozioni nel testo e nella musica. Abbiamo provato con l’orchestra di Sanremo e mi sono emozionato veramente tanto. La partecipazione di quest’anno è molto diversa dall’altra volta, io sono molto più emozionato oggi che allora, anche se di solito succede il contrario.

Chi sono i componenti della tua band?
Siamo in quattro. Io che canto, suono il pianoforte e la chitarra e tre ragazzi di Bari: Giovanni Colatorti, chitarre, Emanuele (Lele) Diana, batteria, e Dino Rubini, basso. Loro hanno tanti anni di studi sulle spalle, praticamente io sono quello che ha studiato meno di tutti.

Come vi siete incontrati?

Tre anni fa, per caso, in un negozio di strumenti musicali dove lavorava uno di noi, e dove andavamo spesso tutti. Cominciammo a parlare e subito capimmo che avevamo tanto in comune. Decidemmo di fare una prova in studio per capire se potava funzionare. E fu una cosa inaspettata: andò tutto benissimo.

Avete già pubblicato un disco…
Si, a settembre è uscito il nostro primo disco e questi giorni ne esce un secondo, che contiene alcuni pezzi del primo e alcuni nuovi, fra i quali anche la canzone di Sanremo. Non abbiamo bussato a tante porte per produrre il primo disco. Siamo stati fortunati che la prima, quella di Universal, è stata quella giusta. Eravamo in un festival dove dovevamo ritirare un premio, e lì abbiamo conosciuto una persona che portò il nostro disco a Universal.

Come andò a finire?
Quando mi telefonarono per dirmi che il disco era piaciuto, quasi svenni. Inizialmente non ci credevo, temevo che qualcuno mi stesse prendendo in giro. Dopo ho visto il prefisso 02 e capii che era una cosa seria. Il prefisso 02 preannuncia sempre qualcosa di importante. Potrebbe essere cattiva oppure buona, ma sempre importante è.

Nel primo disco c’è anche una canzone in albanese “Në dorën tënde” (“Nelle tue mani”) che per una band italiana non è usuale…
No, no, ti sbagli, il gruppo nostro è italo-albanese. Comunque per un gruppo rock in Italia è qualcosa particolare. La canzone piace molto. Il pubblico si gusta fino in fondo la musicalità della canzone senza capire il testo; dopo averlo sentito mi chiamano per chiedermi del testo. Nella maggior parte dei casi preferisco non tradurre le parole del testo, è qualcosa che voglio tener dentro di me, se lo tiro fuori mi sembra che perda valore. “Në dorën tënde” mi è venuto in modo naturale in albanese e ai miei amici della band piace tantissimo, tanto che insistono che scriva di nuovo in albanese.

Non solo scrivi in albanese, tratti anche temi albanesi. Hai scritto una canzone per i nostri connazionali che persero la vita nel canale d’Otranto a marzo 1997.
Sentivo che dovevo scrivere qualcosa su quella storia, non perché ero obbligato a farlo, ma perché volevo tirar fuori il dolore che avevo dentro di me. E l’unico modo che conosco è la musica. Qualcuno fa un quadro, un altro una scultura, io faccio musica. Ho dato forma ai miei sentimenti. Sono molto legato all’Albania, fa parte di me. È fonte di ispirazione: ogni volta che torno da là scrivo con foga. 

Sei venuto a Bari che eri bambino. Ti ha mai pesato il fatto di essere straniero, albanese, in particolare?
A me mai, ma forse a qualcun altro ha dato fastidio il fatto che sono albanese. Scherzi a parte, il razzismo l’ho sentito qualche volta, ma sono fiero e testardo e non mi lascio mettere sotto. Da questo punto di vista, con me, è come sbattere la testa contro un muro: ti rompi la testa.

Keti Biçoku

Leggi anche: La fame di Camilla zbarkon në Sanremo (Shqiptariiitalise.com)

http://www.youtube.com/watch?v=SyrJ_p5Dr9Y

http://www.youtube.com/watch?v=qvhZAhDd7Js&feature=PlayList&p=BCE7281016CD87F9&playnext=1&playnext_from=PL&index=115

http://www.youtube.com/watch?v=WEAOWXxBUQo

Clicca per votare questo articolo!
[Totale: 0 Media: 0]

Trenta punti per vivere in Italia

Permesso a punti. Maroni: “Regolamento nei prossimi giorni”