Due movimenti per portare alla ribalta l’importanza dei lavoratori stranieri. Ora cercano di unire le forze Roma – 14 gennaio 2010 – Il traguardo è unico: ribadire l’importanza vitale degli immigrati e portare alla ribalta le loro rivendicazioni. Ma per quale strada arrivarci, se il ventaglio di proposte va da un vero e proprio sciopero dei lavoratori stranieri a gesti più simbolici come astenersi dai consumi o indossare un braccialetto?
Primo marzo 2010 sciopero degli stranieri è un’iniziativa lanciata da quattro donne: Stefania Ragusa, Nelly Diop, Daimarely Quintero e Cristina Sebastiani. “Una grande manifestazione non violenta per far capire all’opinione pubblica italiana quanto sia determinante l’apporto dei migranti alla tenuta e al funzionamento della nostra società”, scrivono su Facebook .
Sul più famoso dei social network, il gruppo di Primo marzo 2010 ha raccolto finora 30mila adesioni, per un movimento che si definisce “meticcio”, “orgoglioso di riunire al proprio interno italiani, stranieri, seconde generazioni, e chiunque condivida il rifiuto del razzismo e delle discriminazioni”. Evidente e dichiarato il collegamento a “La journée sans immigrés: 24h sans nous” lanciata in Francia per il primo marzo (quinto anniversario dell’entrata in vigore del Code des étrangers).
“Uno sciopero generale sarebbe lo strumento più potente. Non pensiamo però di mettere l’Italia in ginocchio, sappiamo che non tutti i lavoratori stranieri potrebbero realmente scioperare. Chi non lavora potrebbe però portare un segno distintivo, oppure si può pensare ad altre iniziative, come lo sciopero degli acquisti” dice Stefania Ragusa a Stranieriinitalia.it.
Anche in Francia dall’idea iniziale di uno sciopero vero e proprio si sta passando a quella di uno sciopero dei consumi. E i sindacati italiani? Sono da sempre cauti davanti allo sciopero degli stranieri, ritengono che ne ghettizzerebbe le rivendicazioni e, soprattutto, potrebbe essere un flop controproducente: tantissimi immigrati sono irregolari, precari o impegnati nelle case degli italiani, categorie che difficilmente potrebbero aderire.
Blacks out
“Lo sciopero vero e proprio, con buon parte degli stranieri impegnati nei lavori di cura, è impraticabile. Ce la vedete una badante che abbandona per un giorno un malato?” commenta il sociologo Aly Baba Faye, tra i promotori di un’iniziativa parallela: Blacks Out: un giorno senza immigrati. Mutua il titolo da un libro del giornalista Vladimiro Polchi, che immagina le conseguenze che avrebbe uno sciopero degli immigrati in Italia, ma uscendo dalla finzione letteraria vorrebbe trasformarsi in un’azione concreta il 20 marzo (il 21 è la giornata Onu contro le discriminazioni razziali).
“Scartata l’ipotesi di uno sciopero, ci sono varie proposte, come lavorare indossando un braccialetto giallo o organizzare assemblee nei luoghi di lavoro. Vogliamo rimanere nel campo della comunicazione e della sensibilizzazione, – continua Faye – con iniziative autogestite a livello locale alle quali si cercherà di dare una copertura a livello nazionale”. Blacks out, sottolinea il sociologo, “ha già raccolto adesioni importanti tra le associazioni degli immigrati e realtà come le Acli, l’Arci, e i dipartimenti immigrazione di Cgil, Uil e Ugl”.
Primo marzo 2010 e Blacks Out sono nati indipendentemente, ma vorrebbero coordinarsi. "Per noi è irrinunciabile collegarci alle iniziative del resto d’Europa e non vogliamo che la manifestazione abbia ‘cappelli’ di partiti e sindacati” chiarisce Ragusa. Faye ipotizza che si potrebbero “distribuire le iniziative dal primo al venti marzo", ribadendo però il no a un vero e proprio sciopero, “che fallirebbe". Senza un punto di incontro, nonostante i buoni propositi, si rischia di disperdere le forze e naufragare.
Elvio Pasca