Roma, 6 febbraio 2020 – “Sono piuttosto preoccupata, e lo sono da ministro dell’Interno e da donna delle Istituzioni, quale sono evidentemente per funzione, ma, soprattutto, quale sento di essere come cittadina e come sono sempre stata. Le lettere al fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari, i messaggi di odio al direttore Carlo Verdelli, sono in sé, e sottolineo in sé, un fatto di estrema gravità. Perché vede, non ha importanza, alla fine, quale tipo di sostanza risulterà essere la polvere che contenevano quei plichi indirizzati a Scalfari. E dunque scoprire che magari si tratta di gesso, o, al contrario, di sostanza stupefacente, o chi sa cos’altro. Né ha importanza sapere quali siano le reali intenzioni di chi manifesta il suo odio contro Verdelli sulla rete o con lettere private. O cosa avesse in testa chi a gennaio ha telefonato alla redazione del vostro giornale annunciando una bomba. Quel che conta è il gesto. Perché il gesto, in sé, indica insieme un’emergenza e un fallimento”.
Queste le parole della ministra dell’interno Luciana Lamorgese in un’intervista a La Repubblica.
“Voglio che Eugenio Scalfari, Carlo Verdelli, la redazione di Repubblica e tutti coloro che lavorano al giornale sappiano che gli sono vicina. E, mi creda, non è una clausola di stile. È un dovere che sento. Per due ragioni. La prima è perché so cosa si prova a essere oggetto di messaggi d’odio. È successo anche a me dopo aver autorizzato lo sbarco dovuto, perché legittimo e nel pieno rispetto della legge, dei migranti a bordo della Open Arms. Io non ho account social, come tutti sanno, e sono stati i miei figli a raccontarmi il florilegio di epiteti che mi è stato rovesciato addosso dopo quella decisione. ‘Feccia di donna’ credo sia stato il più garbato. Gli altri sono irripetibili. La seconda ragione è che il fondatore di Repubblica, la sua storia e il lavoro di un grande giornale incarnano esattamente i valori che possono far argine a quella che ho definito un’emergenza culturale e civile. Che mette in discussione le ragioni stesse del nostro stare insieme”.
“Del patto costituzionale nato dalla Resistenza antifascista e dalla mostruosità della Shoah. La scritta nazista di Mondovì, la violenza verbale riservata a Liliana Segre, lo stillicidio di manifestazioni razziste, xenofobe e direi più in generale il disprezzo per il cosiddetto ‘diverso’, che si tratti dello stigma inflitto per il colore della pelle, per ragioni di culto religioso o per le inclinazioni sessuali o per la semplice diversità di genere, dimostrano che è stato superato l’argine e dimostrano, per altro, il definitivo divorzio tra significante e significato nell’uso delle parole – spiega Lamorgese – nell’odio in cui siamo immersi c’è spesso assenza totale di pensiero. Assoluta ignoranza della storia. Nonché, il più delle volte, inconsapevolezza di quali ferite si aprano nel ridare corpo a certi fantasmi. È come se nel gesto di odio si riassumesse una nuova ‘normalità’, una declinazione come un’altra della cultura imperante dell’outing. Ebbene, io a questo fallimento non voglio rassegnarmi e penso non sia giusto rassegnarsi”.