Roma, 18 ottobre 2021 – Nelle ultime settimane è tornato al centro del dibattito il tema del salario minimo, visto favorevolmente dal presidente dell’INPS Pasquale Tridico. Il tema era già stato proposto nel 2019 dall’allora ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, per poi decadere a seguito della caduta del primo governo Conte.
A livello europeo, in effetti, in molti Paesi è previsto un minimo salariale orario, mentre in altre realtà (tra cui l’Italia) la tutela dei lavoratori è garantita dai Contratti Collettivi.
Già nel 2019 l’INAPP (Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche) aveva calcolato che l’introduzione del salario minimo a 9 euro comporterebbe un costo per le imprese italiane di 6,7 miliardi di euro. Peraltro, fa notare in questi giorni la CGIA di Mestre, la soglia dei 9 euro è già superata dalla maggior parte dei contratti collettivi nazionali.
Se queste stime si riferiscono prevalentemente all’industria e all’artigianato, non va sottovalutato l’impatto che un simile provvedimento avrebbe sulle famiglie datori di lavoro domestico. Va ricordato inoltre che il lavoro domestico in Italia è disciplinato e tutelato dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro Domestico (prima versione nel 1974) e che le famiglie assumono per necessità, a volte addirittura per emergenza. Secondo l’Osservatorio DOMINA sul lavoro domestico, l’introduzione di un salario minimo renderebbe ancora più gravoso il peso dell’assistenza alle famiglie, rendendo di fatto ancora più appetibile il ricorso al lavoro nero.
Lavoro domestico: scenari a confronto
A partire da questa constatazione, l’Osservatorio DOMINA analizzato l’impatto dell’assistenza familiare sul bilancio familiare di un pensionato o di una famiglia italiana tipo, confrontando lo scenario attuale e quello (ipotetico) con l’introduzione del salario minimo.
In base ai dati dell’Istat possiamo affermare che gli anziani mediamente non sono poveri, ovvero possono permettersi i beni primari come cibo e casa. Inoltre, in caso di totale invalidità, è prevista l’indennità di accompagnamento.
Partendo dai dati delle dichiarazioni dei redditi, rileviamo che i contribuenti per i quali la pensione è la principale fonte di reddito sono 13,5 milioni. Si può quindi stimare il reddito netto per rilevare la capacità di spesa per l’assistenza. Oltre il 60% degli anziani ha un reddito complessivo al di sotto dei 20 mila euro annui, ovvero al di sotto di circa 14.600 euro annui spendibili (al netto delle tasse), e oltre un quarto è addirittura sotto i 10 mila euro annui.
Per rendersi conto a quale costo vadano incontro le famiglie che necessitano di un aiuto supplementare, l’Osservatorio DOMINA ha analizzato tre casi specifici, utilizzando i livelli retributivi relativi all’assistenza a persone. L’introduzione del salario minimo aumenterebbe i costi annui del +41,1% nei casi di utilizzo solo per 25 a settimana, fino ad un +91,5% nel caso di 54 ore settimanali con convivenza.
Lavoro domestico con redditi da pensione
Per meglio comprendere le disponibilità economiche degli anziani possiamo considerare i dati dell’indagine dei consumi dell’Istat, che riporta una spesa mediana per le persone sole con almeno 65 anni pari a 1.338 euro mensili. A questi togliamo le spese per gli affitti figurativi in quanto la maggior parte degli anziani vive in case di proprietà. Abbiamo quindi un consumo di oltre 10 mila euro all’anno dovuto principalmente a cibo, vestiario ed utenze, da tenere in considerazione nel conteggio della capacità di gestione economica della “badante”.
Per stimare quanti anziani possono sostenere la spesa di una badante, l’Osservatorio DOMINA ha sommato alla spesa annua per consumi il costo di ogni lavoratore domestico e confrontato questa spesa con il reddito netto da pensione di quasi 14 milioni di pensionati.
Ne risulta che il margine di risparmio dei pensionati da destinare ad un aiuto è molto ridotto. Attualmente a potersi permettere un’assistenza continuativa con il solo reddito da pensione è solo del 10% dei pensionati; mentre con il salario minimo questa percentuale si ridurrebbe al 2,2%, rendendo necessario l’intervento dei familiari (generalmente i figli) o l’utilizzo di risparmi.
Secondo Lorenzo Gasparrini, Segretario Generale di DOMINA, le elaborazioni dell’Osservatorio DOMINA sul lavoro domestico evidenziano come il costo medio di un’assistente alla persona già oggi non sia sostenibile per la maggior parte dei pensionati italiani, che quindi devono essere sostenuti dai figli o attingere ai risparmi. L’introduzione del “salario minimo” anche per i lavoratori domestici renderebbe di fatto impossibile questa spesa per le famiglie italiane, alimentando inevitabilmente il lavoro nero. Considerando che già oggi il lavoro domestico registra il 57% di irregolarità, l’obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre gli oneri per le famiglie, non certo aumentarli.