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Le melodie polacche di Magdalena Aparta

Intervista alla mezzosoprano polacca, in scena a Roma

Roma – 27 ottobre 2010 – Siamo al centro di Roma, al teatro Studio Keiros e ad attenderci sul palcoscenico illuminato, affianco al pianoforte, c’è Magdalena Aparta. Famosa cantante lirica di origine polacca ma da moltissimi anni in Italia, dove ha trovato il successo e costruito una famiglia.

 

Da quanti anni è in Italia?
 
Sono arrivata in Italia il  3 ottobre 1988, sono venuta qui per vivere! Questa era la mia decisione. Il 3 ottobre è una data importante per me, infatti  il 3 ottobre 1991 ho preso anche la cittadinanza italiana. Da moltissimi anni in Italia ma la passione per il canto è nata prima in Polonia. In Polonia mi sono diplomata in canto e violoncello, poi sono venuta in Italia per perfezionarmi e sono andata al conservatorio di Milano. Qui  ho proseguito i miei studi diplomandomi in canto e  musica  vocale da  camera. Ho finito di studiare solo nel 2006 e tra uno studio e l’altro ho costruito la mia famiglia.
 
Come sono stati i primi anni in Italia?
 
Per inserirsi ci sono sempre difficoltà, soprattutto nel mio campo. L’importante è trovare le persone giuste al momento giusto. Per integrarmi sono stata sicuramente facilitata dal fatto che ho sposato un italiano, poi ho frequentato molte donne italiane quando portavo i miei figli a scuola e devo dire che sono stata fortunata. Però non posso dimenticare i primi anni, quando spesso mi sono sentita in difficoltà nelle relazioni con gli altri.
 
È in Italia da molti anni, come hai visto cambiare questo paese nell’approccio agli immigrati?
 
Per quanto mi riguarda  non ho mai avuto la difficoltà nel presentarmi e farmi  accettare come una polacca, tranne che in Conservatorio dove mi scambiavano per una donna orientale più che europea. Questo, secondo me, è significativo perché indica che agli occhi degli italiani tutti gli immigrati sono uguali senza distinzioni. In generale devo dire che le persone giovani sono più aperte verso immigrati, mentre gli anziani sono ancora diffidenti. Ricordo però anche un evento molto spiacevole che riguarda i giovani.

Quale?

Anni fa insegnavo musica in una scuola media e in quella classe avevo  una ragazza araba che portava il velo e per questo veniva offesa da tutti i compagni.  Sono riuscita a farla  integrarla con molta difficoltà e la cosa grave è che sebbene il problema lo proponevo spesso ai  colleghi, a loro non interessava. Alla fine  dell’anno scolastico organizzai un concorso per tutta la classe, in cui i ragazzi si esibivano in quello che sapevano fare meglio. Quella ragazza decise di parlare di se in arabo! Nessuno riusciva a capirla e continuavano a offenderla; allora dissi ai ragazzi: “Questa è  la musica, non la capite? Perché dovete imparare ad ascoltare”. Pochi giorni dopo li ho visti uscire tutti insieme, fu una grande emozione.
 
Dopo esser riuscita ad affermarsi in Italia  che consiglio ti senti di dare a chi vuole venire qui?
 
Bisogna credere in quello che vogliamo fare, poi le nostre qualità vengono fuori. Bisogna studiare molto, fare molti sacrifici ma alla fine, se crediamo a quello che desideriamo, ci riusciremo sicuramente.
 
Quando pensa al suo passato qual’ è il primo ricordo che le viene in mente?
 
Era all’inizio del 1988,  in un ambiente internazione, c’èra una ragazza tedesca con la quale stavo parlando e ci chiedevamo perché questo muro era ancora in piedi? (Muro di Berlino) e proprio  un anno dopo è stato abbattuto. Questa storia mette in evidenza come i muri tra le persone non esistono e l’unica difficoltà è trovare il modo di parlare con le persone che ci troviamo davanti. E’ un ricordo a cui sono molto legata, per me rappresenta la comunità di intenti e speranze tra le persone.
 
Marco Iorio

 
 
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