Roma, 26 maggio 2025 – Italia e Danimarca guidano una nuova offensiva diplomatica contro l’interpretazione attuale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). A Palazzo Chigi, le due premier hanno presentato una lettera aperta firmata da altri sette Paesi europei – Austria, Belgio, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Repubblica Ceca – per chiedere una revisione delle sentenze della Corte di Strasburgo, accusata di ostacolare le politiche migratorie.
Secondo Giorgia Meloni, alcune interpretazioni della CEDU generano “paradossi” che impediscono agli Stati di espellere stranieri condannati per reati gravi, mettendo a rischio la sicurezza dei cittadini. Sulla stessa linea la premier danese Mette Frederiksen, che ha definito “troppo difficile” espellere chi ha commesso crimini: “Proteggiamo le persone sbagliate”, ha dichiarato.
Il centro della critica riguarda l’estensione “eccessiva dell’ambito di applicazione” della Convenzione, che secondo i leader avrebbe “limitato la capacità decisionale delle democrazie europee”, influenzando anche la protezione delle società democratiche.
Le norme sotto accusa sono in particolare:
- l’articolo 3 (divieto di tortura e trattamenti inumani),
- l’articolo 5 (libertà e sicurezza),
- l’articolo 8 (vita privata e familiare),
- l’articolo 13 (ricorso effettivo).
Un esempio emblematico è la sentenza “Sharafane c. Danimarca”, in cui la Corte ha bloccato l’espulsione di un cittadino iracheno, condannato per droga, perché nato e cresciuto in Danimarca. Secondo i giudici, l’espulsione violava il suo diritto alla vita familiare.
Il dibattito tocca anche l’Italia: casi come quello del marocchino trasferito dal Cpr di Bari alla struttura in Albania, morto suicida in carcere a Torino, pongono interrogativi sulla gestione dei rimpatri e sulle garanzie da assicurare anche in situazioni complesse.
Tuttavia, va ricordato che la Corte EDU è indipendente e ha il compito di garantire il rispetto dei diritti fondamentali universali, sottoscritti volontariamente dagli Stati membri. Metterne in discussione l’autonomia, come affermato da numerosi giuristi, può indebolire il sistema europeo di protezione dei diritti umani.
Come hanno scritto Meloni e Frederiksen: “Ciò che un tempo era giusto potrebbe non essere la risposta di domani”. Ma applicare questo principio ai diritti universali significa mettere a rischio conquiste fondamentali che non dovrebbero dipendere dalle contingenze politiche, né dal luogo di nascita.