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Migranti. Ecco cosa prevede il nuovo patto per l’immigrazione in Europa

Roma, 24 settembre 2020 – La Commissione europea ha proposto ieri a Bruxelles un “Nuovo Patto per l’immigrazione e l’asilo”, composto da una decina di nuovi atti legislativi, che sostanzialmente introduce un sistema di “contributi flessibili” da parte dei paesi Ue, per aiutare uno Stato membro sotto pressione migratoria che chiede solidarietà.

Il nuovo sistema permetterà agli Stati membri di scegliere fra due possibili alternative: il ricollocamento sul proprio territorio, secondo quote prestabilite, dei migranti irregolari richiedenti asilo arrivati nel paese che chiede solidarietà, oppure la presa a carico della responsabilità del rimpatrio (“return sponsorship”) di migranti per i quali è già stato accertato che non hanno diritto alla protezione internazionale, sempre in base a quote prestabilite.

La Commissione prevede tre diversi scenari in cui questo meccanismo si applica con diverse modalità, a seconda dell’intensità della pressione: le situazioni conseguenti allo sbarco di migranti in un porto dell’Ue dopo operazioni di ricerca e soccorso in mare; situazioni di pressione o rischi di pressione sul sistema di gestione dell’immigrazione di uno Stato membro; situazioni di crisi, come quella del 2015 a seguito della guerra civile in Siria. In pratica, quando uno Stato membro si trova in uno dei tre scenari, chiede alla Commissione di attivare i meccanismi di solidarietà; la Commissione valuta la richiesta e decide l’attivazione. Una volta accettata la domanda di un paese di attivare il meccanismo di solidarietà, la Commissione decide quanti migranti irregolari debbano essere redistribuiti in altri Stati membri per alleviare la pressione sul paese richiedente. La redistribuzione viene prevista inizialmente in base a quote, stabilite in funzione del Pil (50%) e della popolazione (50%) di ciascuno Stato membro, ma non è obbligatoria: ogni paese può decidere se offrire di ricollocare sul proprio territorio la quota di migranti assegnata, oppure se prendersi carico dei rimpatri dei migranti del paese richiedente che non hanno diritto alla protezione internazionale, o ancora fornire un contributo finanziario o di altro genere (per esempio l’invio di guardie di frontiera). Gli Stati membri possono anche optare per un mix delle diverse opzioni, ma sempre in modo che il contributo sia alla fine proporzionale, o equivalente, a quello previsto dalla quota.

E’ previsto anche un meccanismo di correzione: se la Commissione verifica che non è stata raggiunta almeno una “massa critica” (almeno il 70%) del contributo di solidarietà chiesto per il paese beneficiario, convoca un “forum della solidarietà” in cui cerca di colmare le lacune. In questo caso, l’Esecutivo comunitario può imporre dei ricollocamenti aggiuntivi, o, a scelta, una quota di sponsorizzazioni di rimpatri, a uno Stato membro che non abbia fornito il contributo atteso, in modo da arrivare almeno alla “massa critica”.

Che cosa succede ai migranti in attesa di rimpatrio? Restano nel paese di primo arrivo, ma lo Stato membro che ha scelto di farsi carico del loro rimpatrio ha otto mesi (quattro in caso di dichiarazione dello stato di crisi) per riportarli nel paese di origine; se non ci riesce, scaduto questo termine dovrà portare a termine le procedure prendendo sul proprio territorio i migranti interessati. Un’altra novità importante del sistema proposto dalla Commissione è il “pre-entry screening”, con cui si cerca di rendere molto più rapido ed efficiente il “filtro” che dovrebbe permettere di separare i richiedenti asilo con buone probabilità di ottenere la protezione internazionale dai “migranti economici” che non ne hanno diritto, e che dovrebbero dunque essere rimpatriati al più presto. Lo “screening” (che durerà al massimo cinque giorni) si applicherà a tutti i cittadini di paesi terzi che attraversano le frontiere Ue senza autorizzazione, e riguardano identificazione con le impronte digitali, controlli sanitari e di sicurezza, registrazione nel database Eurodac. Dopo lo screening, i migranti irregolari possono essere incanalati nella procedura appropriata al loro caso: quella normale per ottenere l’asilo, oppure una nuova “procedura alle frontiere” (“border procedure”), che prevede un esame rapido (“fast track”, massimo 12 settimane) per verificare se sussistono davvero le condizioni per chiedere l’asilo, o se invece più probabilmente, debba essere deciso il rimpatrio.

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