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Negozi etnici. Il governo: “Incostituzionali le nuove norme in Lombardia”

Il Consiglio dei Ministri impugna la legge Harlem, violerebbe il principio di uguaglianza e la divisione di poteri tra Stato e Regioni. In vigore dallo scorso febbraio, prevede test di italiano e stop ai negozi “non tradizionali”

 

Roma – 16 aprile 2012 – Tra test di italiano e limitazione delle attività “non tradizionali”, la cosiddetta Legge Harlem approvata lo scorso febbraio dalla Regione Lombardia con i voti di Lega e Pdl è una dichiarazione di guerra ai negozi degli immigrati. Ora però potrebbe cadere sotto i colpi della Corte Costituzionale.

Venerdì scorso il governo ha deciso infatti di impugnarla davanti alla Consulta. Alcune delle sue norme sarebbero infatti contrasto, oltre che con leggi italiane comunitarie,  con la Costituzione, perché violano il principio di uguaglianza e la distribuizone tra Stato e Regioni delle competenze legislative  su immigrazione, tutela della concorrenza e disciplina delle professioni.

“La Legge Regione Lombardia n. 3 del 27 febbraio 2012 – spiega un comunicato del Consiglio dei Ministri – contiene disposizioni restrittive in materia di esercizio di attività commerciali da parte di cittadini di Paesi non europei e dell’Unione Europea che contrastano con i principi comunitari e statali in materia di condizione giuridica degli stranieri, tutela della concorrenza e disciplina delle professioni con violazione dell’articolo 117, commi 1, 2, lett. a e lett. e), e 3, della Costituzione, e in materia di rilascio e rinnovo delle concessioni del suolo pubblico per l’esercizio del commercio che contrastano con la normativa statale e comunitaria in materia di servizi con violazione degli art. 117, commi 1 e 2, lett. e), della Costituzione”.

Tra le altre cose, la legge Harlem prevede che chi vende alimenti o bevande dimostri di conoscere la lingua italiana e in italiano devono essere tradotte anche insegne ed etichette. Ha poi previsto regole più severe per aprire centri massaggi o negozi di acconciatore e ha dato la possibilità ai sindaci di vietare l’apertura “di attività che non siano tradizionali o qualitativamente rapportabili ai caratteri storici, architettonici e urbanistici dei centri storici”.

Elvio Pasca

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