Una cittadina romena era stata denunciata a Varese per falso e truffa. La Cassazione: “Era in buona fede”
Roma – 4 novembre 2008 – Ricordate il pasticcio dei bonus bebè? All’inizio del 2006, in tutte le case visitate dalla cicogna arrivarono le lettere dell’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi, che si rivolgeva direttamente ai neonati: "Felicitazioni per il tuo arrivo! […] Lo sai che la nuova legge finanziaria ti assegna un bonus di mille euro?"
In realtà la finanziaria destinava l’assegno solo alle mamme e ai papà italiani e comunitari. Le lettere però furono mandate a tappeto e arrivarono così anche alle famiglie degli immigrati. In tanti compilarono i moduli (nei quali autocertificavano di avere i requisiti) e si presentarono all’ufficio postale per riscuotere: quelle dichiarazioni erano però false e così iniziarono a fioccare le denuncie.
La vicenda ha ancora degli strascichi giudiziari, come nel caso di Violeta (il nome è di fantasia), una neomamma romena, al tempo extracomunitaria, residente in un paese del Varesotto, dove aveva ritirato i 1000 euro. La donna era stata denunciata per falsa attestazione e truffa, il tribunale di Varese l’aveva assolta, ma la Procura aveva presentato ricorso in Cassazione.
La Suprema Corte, con una sentenza depositata qualche giorno fa, ha dato di nuovo ragione a Violeta, ritenendo inammissibile il ricorso. In particolare, i giudici hanno sposato la tesi della sentenza di primo grado, sostenendo che la cittadina romena aveva agito in buona fede.
Come si legge nella sentenza, la neomamma 1) “si recò all’ufficio postale per incassare il sussidio, in quanto destinataria dio una lettera fattale recapitare per iniziativa del Governo, risultando ella aver recentemente partorito”; 2) “si limitò a compilare il modulo prestampato, riempiendolo con le sue generalità e sottoscrivendolo”; 3) “presentò il modulo unitamente al suo documento di identità, dal quale risultava essere cittadina non italiana”.
La riprova della mancanza di dolo sarebbe proprio l’esibizione del documento di identità, che però la Procura mette in dubbio. Per la Cassazione è però “più che ragionevole presumere che i dipendenti postali abbiano comunque richiesto, nel momento in cui andavano a versare la somma di € 1000, la esibizione di un valido documento di identità da parte della beneficiaria”.
Elvio Pasca