L’attore e il violoncellista Sollima interpretano Home, di Warsan Shire. “Un canto di musica e poesia contro l’ingiustizia e la guerra”. GUARDA IL VIDEO
Roma – 28 aprile 2016 – “Nessuno lascia la casa a meno che la casa non sia la bocca di uno squalo / scappi al confine solo / quando vedi tutti gli altri scappare / i tuoi vicini corrono più veloci di te / il fiato insanguinato in gola / il ragazzo con cui sei andata a scuola / che ti baciava follemente dietro la fabbrica di lattine / tiene in mano una pistola più grande del suo corpo”…
Versi di Warsan Shire, arrivata nel Regno Unito da bambina, insieme ai genitori in fuga dalla guerra in Somalia. La sua Home è una casa dove non si può più stare, perché “qualsiasi altro posto è più sicuro di qua”. È la casa lasciata da milioni di profughi sparsi per il mondo, come quelli che bussano alle porte chiuse dell’Europa.
Giuseppe Cederna, accompagnato dal violoncello di Giovanni Sollima, interpreta Home, “canto in poesia e musica contro l’ingiustizia e la guerra”, e lo dedica “a tutti quelli che stanno scappando”. “Un grido necessario – scrive l’attore – perché il coraggio, il dolore, la rabbia e la disperazione dei migranti del Mediterraneo siano un po’ anche i nostri”.
Casa
Nessuno lascia la casa a meno che
la casa non sia la bocca di uno squalo
scappi al confine solo
quando vedi tutti gli altri scappare
i tuoi vicini corrono più veloci di te
il fiato insanguinato in gola
il ragazzo con cui sei andata a scuola
che ti baciava follemente dietro la fabbrica di lattine
tiene in mano una pistola più grande del suo corpo
lasci la casa solo
quando la casa non ti lascia più stare
Nessuno lascia la casa a meno che la casa non ti cacci
fuoco sotto i piedi
sangue caldo in pancia
qualcosa che non avresti mai pensato di fare
finché la falce non ti ha segnato il collo
di minacce
e anche allora continui a mormorare l’inno nazionale
sotto il respiro/a mezza bocca
solo quando hai strappato il passaporto nei bagni di un aeroporto
singhiozzando a ogni boccone di carta
ti sei resa conto che non saresti più tornata.
devi capire
che nessuno mette i figli su una barca
a meno che l’acqua non sia più sicura della terra
nessuno si brucia i palmi
sotto i treni
sotto le carrozze
nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion
nutrendosi di carta di giornale a meno che le miglia percorse
son siano più di un semplice viaggio
nessuno striscia sotto i reticolati
nessuno vuole essere picchiato
compatito
nessuno sceglie campi di rifugiati
o perquisizioni a nudo che ti lasciano
il corpo dolorante
né la prigione
perché la prigione è più sicura
di una città che brucia
e un secondino
nella notte
è meglio di un camion pieno
di uomini che assomigliano a tuo padre
nessuno ce la può fare
nessuno può sopportarlo
nessuna pelle può essere tanto resistente
II
andatevene a casa neri
rifugiati
sporchi immigrati
richiedenti asilo
che prosciugano il nostro paese
negri con le mani tese
e odori sconosciuti
selvaggi
hanno distrutto il loro paese e ora vogliono
distruggere il nostro
come fate a scrollarvi di dosso
le parole
gli sguardi malevoli
forse perché il colpo è meno forte
di un arto strappato
o le parole sono meno dure
di quattordici uomini tra
le cosce
perché gli insulti sono più facili
da mandare giù
delle macerie
delle ossa
del corpo di tuo figlio
fatto a pezzi.
voglio tornare a casa,
ma casa mia è la bocca di uno squalo
casa mia è la canna di un fucile
e nessuno lascerebbe la casa
a meno che non sia la casa a spingerti verso il mare
a meno che non sia la casa a dirti
di affrettare il passo
lasciarti dietro i vestiti
strisciare nel deserto
attraversare gli oceani
annega
salvati
fai la fame
chiedi l’elemosina
dimentica l’orgoglio
è più importante che tu sopravviva
nessuno se ne va via da casa finché la casa è una voce soffocante
che gli mormora all’orecchio
vattene
scappa lontano adesso
non so più quello che sono
so solo che qualsiasi altro posto
è più sicuro di qua.
Warsan Shire (trad. di Paola Splendore)