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Permessi di soggiorno: una class action contro i ritardi

La Cgil prepara un’azione collettiva. Soldini: "Possiamo chiedere altri soldi per un servizio che non funziona?"

Roma – 19 gennaio 2009 – Dopo le magagne dei flussi d’ingresso, finirà in tribunale un altro punto dolente dell’immigrazione in Italia. La Cgil sta preparando un’azione legale  contro i ritardi nei rinnovi dei permessi di soggiorno.

“La situazione  è gravissima, se disfunzioni di questo tipo avessero colpito dei cittadini italiani ci sarebbe già stato un intervento dell’Europa. Il governo, nonostante le nostre richieste,non ha mai aperto un tavolo di confronto sull’immigrazione, a questo punto l’unica arma per cambiare le cose è promuovere una causa collettiva” spiega a Stranieriinitalia.it Piero Soldini, responsabile immigrazione del sindacato.

In realtà in Italia la class action non esiste ancora: è uno strumento previsto dalla finanziaria 2008, ma la sua entrata in vigore è stata prorogata dal governo a giugno 2009. “Stiamo studiando altre strade, – chiarisce Soldini –  come intentare una causa pilota che poi possa avere ricadute generali  o mettere insieme tanti casi individuali omogenei”.

Oggi per rinnovare un permesso nelle piccole provincie si aspettano dai tre a i cinque mesi, ma nelle provincie più grandi, come Roma, Milano o Torino, si supera puntualmente un anno di attesa. E il passaggio agli uffici postali non ha migliorato la situazione, anzi: “Prima in alcune realtà i rinnovi arrivavano anche in due mesi grazie ad accordi sul territorio con associazioni e sindacati. Ora che la procedura è standardizzata, si ritarda anche lì”.

Il risultato è che la folla degli immigrati in attesa di permesso, che possono contare solo sui diritti insufficienti garantiti dal cedolino, è enorme. Mezzo milione di persone secondo i calcoli del Sole 24 Ore, addirittura oltre un milione stando alle stime della Cgil. Tutti hanno pagato 72 euro per avere il permesso, senza contare i soldi sborsati per il visto d’ingresso e per il resto della burocrazia dell’immigrazione.

“Chi vuole introdurre una tassa sul permesso di soggiorno, richiamandosi anche ad altri paesi europei, farebbe bene, prima, a ragionare su come funzionano oggi i rinnovi in Italia. Possiamo chiedere altri soldi per un servizio che non funziona?” conclude il sindacalista.

Elvio Pasca

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