Ordine e sindacato scrivono a Maroni dopo la circolare che ha bloccato l’accesso degli organi stampa nei Cie. “Limita il nostro dovere di informare liberamente i cittadini”
Roma – 14 giugno 2011 – Dallo scorso aprile, i giornalisti non possono più entrare nei centri di identificazione ed espulsione.
Non che prima avessero campo libero, perchè dovevano comunque essere autorizzati dai prefetti, ma il primo aprile una circolare del ministro dell’Interno Roberto Maroni ha serrato completamente le porte dei Cie. Stabilisce infatti che, “in considerazione del massiccio afflusso di immigrati provenienti dal Nord Africa e al fine di non intralciare le attività loro rivolte”, l’accesso è consentito solo ad alcune organizzazioni (UNHCR , OIM, Croce Rossa Italiana, Amnesty International, Medici Senza Frontiere, Save The Children, Caritas) e alle associazioni che lavorano in quelle strutture.
Dopo le proteste di singoli giornalisti e associazioni, scendono in campo anche l’Ordine dei Giornalisti e il Federazione Nazionale della Stampa Italiana, con una lettera congiunta indirizzata a Maroni. Al ministro chiedono un incontro urgente: quella circolare, denunciano,“limita il nostro dovere di informare liberamente i cittadini, in ottemperanza all’articolo 21 della Costituzione” che tutela il diritto di espressione e informazione, specificando che la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Oggi, scrivono OdG e Fnsi, “risulta impossibile, per chi intende esercitare il diritto di cronaca, poter verificare con i propri occhi e con i propri strumenti cosa accade” nei Cie. “Pur comprendendo le problematiche derivanti talvolta dalla gestione quotidiana e materiale dell’accoglienza, crediamo che non sia giusto considerare l’informazione un intralcio al funzionamento di queste strutture; anzi siamo convinti che la credibilità e la trasparenza delle stesse debbano essere considerate fondamentali per rafforzare la fiducia nelle istituzioni”.
“Tutte le direttive finora emanate riguardo alle figure sociali a cui è garantito l’accesso non menzionano gli operatori dell’informazione. Accade – si legge ancora nella lettera – anche se queste non sono giuridicamente definite come luoghi di detenzione, e quindi soggette alle limitazioni previste, che comportano preventive richieste di autorizzazione all’ingresso”.
Secondo i rappresentanti dei giornalisti italiani, “non è ammissibile l’esistenza di luoghi di concentramento non volontario di persone che siano inaccessibili alla libera informazione. Si tratta di una vera e propria anomalia democratica, che peraltro non può essere rimessa – come finora è stato – né alla discrezionalità delle singole autorità prefettizie, né tantomeno alla disponibilità di parlamentari della Repubblica che si fanno garanti per i giornalisti”.
Serve quindi un’intesa che regolamenti “il dovere dell’informazione anche nei Cie”. Un obiettivo che può essere raggiunto “senza precludere il normale funzionamento delle procedure che in essi vengono svolte”, e tutelando “ l’imprescindibile diritto alla privacy per gli “ospiti”, per gli operatori degli enti gestori, per le forze di polizia predisposte alla vigilanza e alla sorveglianza”.