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“Leggi Razziali”. Famiglia Cristiana non diffamò Maroni

Il Tribunale di Milano dà ragione al settimanale cattolico. “Legittima espressione del diritto di critica”

Roma – 12 maggio 2011 – “Il soffio ringhioso di una politica miope e xenofoba, che spira nelle osterie padane, e’ stato sdoganato nell’aula del Senato della  Repubblica”.

Così scriveva Famiglia Cristiana nel febbraio 2009, subito dopo l’approvazione, a Palazzo Madama, del disegno di legge sulla sicurezza. “L’Italia precipita verso il baratro di leggi razziali – continuava il settimanale cattolico –  con medici invitati a fare la spia e denunciare i clandestini, cittadini che si organizzano in associazioni  paramilitari, al pari dei ”Bravi” di don Rodrigo, registri per i  barboni, prigionieri virtuali solo perché poveri estremi, permesso di soggiorno a punti e costosissimo”.

Un attacco durissimo alla linea dura sull’immigrazione scelta dal Governo, soprattutto su impulso del ministro dell’Interno leghista Roberto Maroni. Il titolare del Viminale si definì “indignato e offeso dalle deliranti dichiarazioni di ‘Famiglia Cristiana’” e querelò il giornale, “per tutelare – spiegò allora – la mia onorabilità e quella della carica che  ricopro” e contrastare quella che definì  “un’ aggressione premeditata”.

Sono passati più di due anni, e il ddl sicurezza è diventato legge, fortunatamente senza la norma sui medici spia, ma comunque con un bel carico di regali agli immigrati, a cominciare dal reato di clandestinità. Anche la querela per diffamazione presentata da Maroni e dal ministero (insieme alla richiesta di un risarcimento da un milione di euro) è andata avanti, ma qualche giorno fa il suo cammino si è interrotto davanti alle considerazioni del tribunale di Milano.

Con una sentenza del 28 aprile scorso (resa nota ieri da Famiglia Cristiana), il giudice ha infatti rigettato la citazione del ministro, spiegando che ”le opinioni espresse nell’editoriale costituiscono la legittima espressione del diritto di critica”.

“La violazione del limite della verità e della correttezza di espressione denunciata dagli attori – aggiunge la sentenza – non è fondata”. Ed ancora: “Non sono dunque ravvisabili nell’articolo in questione alcun travisamento del contenuto del provvedimento né alcuna violazione del limite della verità”. “Infine non è ravvisabile alcuna offesa all’onore ed alla reputazione del Ministro on. Roberto Maroni”.

Bocciate, quindi, tutte le richieste del ministro e del suo ministero. Che, tra l’altro, sono stati condannati a pagare le spese legali.

Elvio Pasca

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