Nuova questione di legittimità costituzionale. Nella legge manca un “giustificato motivo” per trattenersi illegalmente in Italia Roma – 30 settembre 2009 – Il nuovo reato di clandestinità, ingrediente principe della ricetta del governo contro l’immigrazione irregolare, non convince i magistrati. Da una capo all’altro della Penisola, Tribunali si invoca l’intervento della Consulta per stabilire se è in linea con la Costituzione.
Stando alle cronache, il primo a sollevare la questione di legittimità costituzionale è stato a fine agosto un giudice di Pesaro. Poi la procure di Bologna, Torino e Agrigento hanno chiesto ai giudici competenti di seguire la stessa strada. Qualche giorno fa, il copione si è ripetuto in un tribunale di Trento.
Il 25 settembre, il giudice Carlo Ancona è stato chiamato ad esprimersi su un cittadino indiano senza fissa dimora, sorpreso dalla polizia senza permesso di soggiorno e con un vecchio foglio di via non rispettato. Due i reati contestati all’immigrato: essersi trattenuto in Italia nonostante l’ordine del Questore di andarsene e, appunto, il reato di ingresso e soggiorno illegale introdotto dalla legge sulla sicurezza.
Per il primo reato l’indiano è stato assolto. La legge punisce infatti solo chi non obbedisce al foglio di via “senza giustificato motivo”, ma secondo il giudice l’imputato non aveva da parte abbastanza soldi per pagarsi il viaggio di ritorno in India. Il reato, quindi, non sussiste.
Il reato di clandestinità, invece, non prevede nessun “giustificato motivo”, e proprio su questo punto il giudice ha chiesto l’intervento della Corte Costituzionale. Solo prevedendolo, scrive Ancona, si può “superare ogni obiezione e ritenere costituzionalmente corretta l’incriminazione della condotta” dei clandestini, e inoltre pare irragionevole poter giustificare chi non rispetta un ordine di espulsione e non chi commette il reato, meno grave, di soggiorno illegale in Italia.
Elvio Pasca