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Regolarizzazione o sanatoria? Una disastrosa ambiguità

Come mascherare la più grande sanatoria della storia dell’immigrazione italiana?

L’avversione all’immigrazione, come del resto quella al cattivo tempo, è notoriamente trasversale agli schieramenti politici.

Ma un governo di centro destra, quasi tutta gente che ama il bel tempo, con questo problema ha ancor meno da scherzare.
Ed ecco che giunge in soccorso la flessibilità della magnifica lingua italiana.
Sanatoria? No, regolarizzazione!

La differenza è che nel caso della sanatoria per avere il permesso di soggiorno sarebbe bastata la semplice presenza sul territorio italiano, mentre con la regolarizzazione bisognava avere anche un lavoro.
Sembra chiaro. Eppure sono stati in molti a non capirlo.
Innanzitutto i datori di lavoro.
Se non ci credete provate a fare un piccolo test.
Chiamate una manciata di conoscenti a caso e chiedetegli se hanno messo in regola un lavoratore straniero.
Scoprirete che molti lo hanno fatto, ma che non tutti hanno messo in regola una persona che lavora effettivamente per loro.
Molti "veri" datori di lavoro, infatti, non ne hanno voluto sapere di mettere in regola i propri dipendenti che hanno dovuto arrangiarsi con gli amici o con gli amici degli amici. Per non parlare dei tanti che avevano un lavoro autonomo ma che hanno dovuto fingersi lavoratori dipendenti.

Saldatori, conciatori di pelli o commercianti assunti come colf, badanti o come mediatori culturali.
Come si giustificherebbero, altrimenti, le decine di migliaia di ripensamenti/licenziamenti che all’indomani della sanatoria hanno mandato in tilt la macchina burocratica della "regolarizzazione" e che hanno spinto le singole prefetture ad intervenire, ognuna con una sua soluzione al problema?

Ma pare che neanche i lavoratori abbiano capito il concetto di regolarizzazione.
Pensavano, infatti, che quel piccolo inconveniente di qualche anno prima non avrebbe creato loro nessun problema.
Se l’intenzione era quella di mettere tutti in regola, poco avrebbe pesato il foglio di via che si erano visti appioppare in passato.

Non conoscevano la differenza tra sanatoria e regolarizzazione ne sapevano che il famigerato SIS (Sistema Informativo Schengen) aveva archiviato i loro nomi e che, lenta ma inesorabile, un giorno la legge sarebbe giunta a bussare alle loro porte di placide colf e di laboriosi infermieri.

Ora per loro, dopo l’autodenuncia, c’è soltanto l’espulsione e l’esilio per 10 anni dallo spazio Schengen. Con la beffa di essersi pagati i contributi della sanatoria che lo Stato non gli restituirà.
Era iniziato come un gioco di parole, quello della "regolarizzazione", ma sta finendo in una comica tragedia che si gioca sulla pelle di esseri umani.
Permessi di soggiorno che impiegheranno almeno 1 anno ad arrivare. Gente sequestrata da una nazione o taglieggiata da un datore di lavoro che trattiene i contributi previdenziali dallo stipendio effettivo, i più sfortunati vedranno anni di onesto lavoro bruciare sull’altare dell’ennesima ipocrisia.

In tutto questo si scopre che solo dai contributi dei "regolarizzati" l’INPS guadagnerà 1,7 MILIARDI DI EURO ogni anno (ed ancora nessuno ha calcolato l’ammontare del contributo IRPEF). Soldi che serviranno per le pensioni degli italiani.

Un pasticciaccio brutto al quale potrebbero rimediare i 1250 nuovi assunti incaricati del disbrigo delle 700.000 richieste di regolarizzazione.
A loro ci rivolgiamo chiedendogli di non di chiudere un occhio bensì di aprirli entrambi. Si accorgeranno che le pratiche che hanno fra le mani non hanno a che vedere con una regolarizzazione, ma con una sanatoria.
Anticipino, quindi, le contorte circolari che stanno per arrivare sui loro tavoli e risparmino la creatività dei vari uffici ministeriali e dei singoli prefetti.
Ogni volta che apriranno una busta controllino soltanto che il richiedente non abbia commesso reati e, se risulterà incensurato, gli concedano il permesso di soggiorno.

Se lo sarà meritato, quanto meno per il coraggio dimostrato nel fidarsi di questa "sanatoria".



Qualsiasi governo, a prescindere dal colore politico, si sarebbe posto lo stesso problema.

(12 marzo 2003)

Gianluca Luciano

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