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Roland Sejko: “Dalle navi degli albanesi scese l’Italia di oggi”

Parla il regista di "Anija, la Nave" il documentario sull’esodo degli anni novanta che ha vinto il David di Donatello 2013. "Il nostro fu coraggio da incoscienti, un buttarsi a occhi chiusi nell’ignoto"

Roma  – 14 giugno 2013 – “Anija, la Nave”  il film di Roland Sejko dedicato agli sbarchi degli albanesi in Italia negli anni novanta con i racconti dei protagonisti di quell’esodo, è il miglior documentario di questa stagione. Si è aggiudicato il Premio David di Donatello, il più alto riconoscimento del cinema italiano.

Stamattina ci sarà il tradizionale incontro al Quirinale di tutti i finalisti con il presidente Giorgio Napolitano, stasera la premiazione. E anche se Sejko sa da qualche settimana di aver vinto, l’emozione non è svanita: “Non ce l’aspettavamo, è stata una sorpresa. C’erano in gara molti documentari di altissimo livello. Insieme alla soddisfazione provo una sorta di timore per questa grande responsabilità” dice il regista a Stranieriinitalia.it.

Roland Sejko
Cosa crede che abbia fatto la differenza nella scelta del suo documentario?
“Io credo di aver raccontato una storia anche italiana, non solo albanese. Ed è importante e bello che sia stato scelto un documentario questo tema: cose successe venti anni fa che permettono di cogliere tante sfaccettature dell’attualità. Di capire che chi arriva qui disperato e trova la possibilità di una vita migliore poi contribuirà a far crescere l’Italia. Diventerà l’Italia”.

Furono sbarchi enormi. Anche ventimila persone in un giorno. I barconi più affollati che approdano a Lampedusa sembrano nulla in confronto
“Eppure colpiscono lo stesso, il numero non conta. Per chi la soffre è una tragedia, per chi la osserva dall’esterno è un’emergenza. E invece dovremmo avere la forza di immaginare cosa saranno quelle stesse persone tra vent’anni, capire tutto il potenziale che c’è dietro i movimenti dei popoli, le aperture e il progresso che comportano. Cose delle quali oggi sembra ancora difficile parlare”.

Anija è attuale, ma c’è un aspetto del racconto che sembra senza tempo, epico. La sfida del fuggire, affrontare il mare, poi, finalmente la meta. Il migrante come eroe che segue il suo destino?
“Il tema dell’ineluttabilità del destino è forse una delle chiavi di lettura principali. Per quanto abbia cercato di tenerlo fuori, alla fine pervade il documentario. C’è l’epopea di un popolo, le epopee delle singole persone, questo genera lirismo e tragicità”.

Il documentario dà voce a tante persone, ognuna con la sua storia. C’è un tratto che le accomuna?
“Forse il coraggio, quasi da incoscienti, di buttarsi ad occhi chiusi nell’ignoto. Erano talmente presi dalla voglia di fuggire che non sapevano dove stavano andando, l’importante era andare.  È stato così anche per me, che ero su una di quelle navi. Quando siamo saliti, e per tutta la traversata, siamo stati fuggiaschi. Appena messo piede a terra siamo diventati immigrati. In alcune delle persone che ho incontrato per il documentraio ho notato anche una sorta di nostalgia malinconica per quei giorni difficili ma pieni di speranza. Fa venire in mente una frase dello scrittore Ismail Kadare qualche anno dopo gli esodi: “Il sogno della libertà era forse più bello della libertà stessa?”

Anija – La Nave,  prodotto e distribuito dall’Istituto Luce Cinecittà, continua il suo viaggio. Da oggi a giovedì 20 sarà al Milano a Memoria, in piazza Diaz a Milano,  il 20 giugno all’Apollo 11, in via Conte Verde 51 a Roma. Il 31 giugno e il 1 luglio arriverà all’Ischia Film Festival. È disponibile anche in dvd e può essere scaricato su Ipad e tablet android attraverso l’applicazione Cinecittà.
 

Elvio Pasca
 

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