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Sfruttati nei campi. Amnesty International: “È anche colpa della legge italiana”

“Piaga diffusa in tutto il Paese. Gli irregolari non possono chiedere giustizia per salari inferiori a quanto concordato, per il mancato pagamento o per essere sottoposti a lunghi orari di lavoro”.  Rapporto dell’organizzazione umanitaria

Roma – 18 dicembre 2012 – "Lavoro 9-10 ore al giorno dal lunedì al sabato, poi cinque ore la domenica mattina, per tre euro l'ora. Il datore di lavoro – racconta Sunny – mi dovrebbe pagare 600-700 euro al mese; io contavo di mandare 500 euro al mese a mio padre in India. Negli ultimi sette mesi, però, il datore di lavoro non mi ha pagato il salario intero. Mi dà solo 100 euro al mese per le spese. Non posso andare alla polizia perché non ho documenti: mi prenderebbero le impronte e dovrei lasciare l'Italia."

"Quando non hai i documenti – spiega Ismael – ti danno solo 'lavoro nero', che è mal pagato. Prendiamo dai 25 ai 30 euro al giorno per otto o nove ore di lavoro. Ma quando ci facciamo male non prendiamo niente". Gli fa eco Jean-Baptiste: "Quando il datore di lavoro non paga, che cosa puoi fare per avere il denaro? Senza documenti, come puoi andare alla polizia? Senza documenti, sei espulso. Ma non hai fatto niente di male…".

Sono testimonianze di lavoratori indiani e africani  impiegati nei campi nelle zone di Latina e Caserta raccolte da Amnesty International, che oggi ha pubblicando un rapporto sullo sfruttamento dei migranti nel settore agricolo italiano. Una realtà diffusa in tutto il Paese, denuncia l’organizzazione umanitaria, che chiede all’Italia di “rivedere le politiche che contribuiscono allo sfruttamento dei lavoratori migranti e che violano il loro diritto a condizioni di lavoro giuste e favorevoli e all'accesso alla giustizia”.

I braccianti stranieri ricevono paghe inferiori di circa il 40 per cento, a parità di lavoro, rispetto al salario italiano minimo concordato tra le parti sociali e lavorano un maggior numero di ore. Le vittime dello sfruttamento del lavoro sono migranti africani e asiatici e, in alcuni casi, cittadini dell'Unione europea (soprattutto bulgari e rumeni) e cittadini di paesi dell'Europa orientale che non fanno parte dell'Unione europea (tra cui gli albanesi).

"Nell'ultimo decennio le autorità italiane hanno alimentato l'ansia dell'opinione pubblica sostenendo che la sicurezza del paese è minacciata da un'incontrollabile immigrazione 'clandestina', giustificando in questo modo l'adozione di rigide misure che hanno posto i lavoratori migranti in una situazione legale precaria, rendendoli facili prede dello sfruttamento" denuncia Francesca Pizzutelli, ricercatrice del Segretariato Internazionale di Amnesty International e autrice del rapporto.

Amnesty sottolinea che le attuali politiche italiane intendono controllare il numero dei migranti stabilendo delle quote d'ingresso per tipi diversi di lavoratori e rilasciando permessi sulla base di un contratto scritto. Queste quote, tuttavia, sono molto inferiori all'effettivo fabbisogno di lavoratori migranti e questo sistema, oltre a essere inefficace e a prestarsi ad abusi, incrementa il rischio di sfruttamento del lavoro dei migranti.

 “L'esito di tutto questo, spesso, per i lavoratori migranti consiste in paghe ben al di sotto del salario concordato tra le parti sociali, riduzioni arbitrarie dei compensi, ritardato o mancato pagamento, lunghi orari di lavoro. Si tratta di un problema diffuso e sistematico"  dice  Pizzutelli.

I datori di lavoro preferiscono assumere lavoratori già presenti in Italia a prescindere dalle quote d'ingresso fissate dal governo.  Alcuni lavoratori possono avere il permesso già scaduto mentre altri possono aver ottenuto il visto d'ingresso attraverso intermediari ma non riescono poi a ottenere il permesso di soggiorno. In questo modo, molti lavoratori migranti finiscono per trovarsi senza documenti che ne attestino la presenza regolare in Italia e rischiano l'espulsione.

 Il rapporto ricorsa poi che la legislazione italiana ha introdotto il reato di "ingresso e soggiorno illegale", stigmatizzando così i lavoratori migranti irregolari, alimentando la xenofobia e la discriminazione nei loro confronti.  “Questa legislazione pone i lavoratori migranti nella condizione di non poter chiedere giustizia per salari inferiori a quanto concordato, per il mancato pagamento o per essere sottoposti a lunghi orari di lavoro. La prospettiva, per molti di loro, è che se denunciano lo sfruttamento vengono arrestati ed espulsi a causa del loro status irregolare”.

 "Le autorità italiane – conclude Pizzutelli – dovrebbero modificare le politiche in materia d'immigrazione concentrandosi prima e soprattutto sui diritti dei lavoratori migranti, indipendentemente dal loro status migratorio, garantendo loro un efficace accesso alla giustizia, istituendo meccanismi sicuri e accessibili per i lavoratori migranti che intendono presentare esposti e denunce contro i datori di lavoro, senza timore di essere arrestati ed espulsi".

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"Exploited labour: Migrant workers in Italy's agricultural sector" (609.85 KB)

Sintesi in Italiano
 

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