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SPOSA BAMBINA: MADRE A 12 ANNI, ARRESTATO KOSOVARO /ANSA

LEGALE: FATTO CULTURALE, FAMIGLIA DISTRUTTA, NON CAPISCE

BRESCIA
(dell’inviato Stefano Rottigni) (ANSA) – BRESCIA, 3 LUG – Quando gli agenti della Squadra mobile di Brescia sono andati ad arrestarlo è caduto dalle nuvole. Forse non ha nemmeno capito le accuse gravissime che gli venivano rivolte. Muhamet I., 21 anni, kosovaro, di religione musulmana, appartenente a una famiglia operaia arrivata a Brescia oltre 20 anni fa, dalla ‘moglie’ dodicenne, di origine serba, il 14 giugno scorso, aveva avuto una bambina all’ospedale Civile della città lombarda ed aveva fatto annotare il suo nome nello stato di famiglia.

 Il ‘matrimonio’ era stato organizzato tra le loro famiglie ma per la legge italiana tutto ciò si chiama violenza sessuale e riduzione in stato di schiavitù.

Violenza sessuale perché l’età della ragazzina fa sì che, se anche questa non abbia subito costrizioni, comunque ci si trovi in presenza del reato, in quanto è escluso che avesse consapevolezza di quanto le stava accadendo. Riduzione in stato di schiavitù, per il gip che ha emesso l’ordinanza di custodia cautelare chiesta dal pm Mara Pucci, per via della "assoluta sudditanza psicologica" in cui la ‘moglie’-bambina si trovava.

Sudditanza dovuta alla clandestinità (era giunta dalla Serbia nel luglio dell’anno scorso con i genitori del kosovaro) e per essere stata "inserita nel nucleo familiare dell’indagato fuori da ogni regola civile, in assenza di ogni titolo giustificativo dell’affidamento e nella riscontrata assenza di ogni comunicazione o iniziativa volta a regolarizzare la presenza della piccola sul territorio". E la Convenzione di Ginevra definisce lo stato di schiavitù "l’esplicazione di una condotta cui sia ricollegabile l’effetto del totale asservimento d’una persona umana al soggetto responsabile della condotta stessa".

A carico di Muhamet, che ha un precedente per resistenza a pubblico ufficiale, c’é anche il fatto che la ragazzina era stata portata in ospedale da tre persone, oltre a lui, che si erano dileguate, anche se poi il kosovaro si era fatto carico di iscrivere la neonata nel proprio stato di famiglia.

E’ per motivare i presupposti della custodia cautelare che il giudice Silvia Milesi scrive che i comportamenti messi in atto da Muhamet sono "in palese contrasto con principi fondamentali del diritto internazionale e umanitario e scaturiti dal contesto culturale di provenienza dell’indagato che evidenziano l’ostinazione a perpetrare simili condotte, considerandole normalì, in omaggio alle tradizioni culturali del paese d’origine". Il pericolo di reiterazione del reato va desunto, per il gip, anche dal comportamento della neo-madre la quale "ha dichiarato sentimenti di affetto nei riguardi del convivente e del suo nucleo familiare" e ha mostrato "la totale persuasione circa la normalità di tali odiosi comportamenti".

L’avvocato del kosovaro, Enzo Trommaco, che domani affronterà l’interrogatorio di garanzia, spiega che tutta la vicenda è "riconducibile a usi e costumi rom, ma anche musulmani", che appunto prevedono "matrimoni organizzati col consenso delle famiglie e che avvengono anche quando gli sposi sono giovanissimi".

Il legale non ha sentito parlare di quei 17mila euro che l’accusa considera il "prezzo" della sposa, ma avverte: potrebbe costituire "un ristoro" che tradizionalmente é assegnato alla famiglia della sposa per la perdita di una figlia e nella cifra vanno comprese le spese sostenute per le feste di fidanzamento, per i monili e i costosi abiti tradizionali e i monili della sposa.

Trommaco conclude: "La famiglia del mio assistito è distrutta,non capisce che cosa stia succedendò". Così come non riesce a spiegarsi perché Muhamet sia in carcere e la sua ‘sposa’ in una comunità protetta insieme alla neonata. (ANSA).

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