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Tassa sui permessi? Ora puntualità e voto agli immigrati!

Una nuova legge obbligherà i cittadini stranieri a pagare, ma perché lo Stato non rispetta quella che impone che il documento sia pronto in venti giorni? Intanto, per cinque milioni di contribuenti, il principio “no taxation without representation” non vale

Roma – 2 gennaio 2012 – La nuova tassa sui permessi di soggiorno è il regalo a scoppio ritardato degli ex ministri Maroni e Tremonti agli immigrati. Sarebbe però quanto meno ingenuo sperare che il governo Monti ci rinunci, impegnato com’è a raschiare il fondo del barile per rimettere in sesto i conti pubblici.

Cinque milioni di immigrati regolari costretti a pagare periodicamente da ottanta a duecento euro per rimanere in Italia sono una gallina dalle uova d’oro, una vacca da mungere senza paura che gli italiani, già tartassati dalle misure anticrisi, storcano ulteriormente il naso. Qualcuno magari penserà pure: “Giusto che facciano sacrifici anche loro”.

 

A troppi italiani però sfugge che gli immigrati i sacrifici già li fanno tutti, perche pagano e pagheranno anche tutte le altre stangate. Chissà poi quanti sanno che razza di servizio, con la nuova tassa, i titolari di un permesso di soggiorno pagheranno così caro.

Se si pensa che fino a qualche anno fa per rinnovare un permesso ci voleva anche un anno e mezzo, bisogna sottolineare che finora, soprattutto grazie all’informatizzazione delle procedure  è stato fatto molto. Eppure, anche le più avanzate sperimentazioni avviate ministero dell’Interno puntano a garantire che il nuovo permesso arrivi, in media, quarantacinque giorni dopo la presentazione della domanda.

Già quella media, in sé, è un problema. Ad Aziz che vive a Roma e impiega dieci mesi per rinnovare il suo permesso di soggiorno, interessa davvero poco che magari Felipe, a Trento, attenda solo trenta giorni. La scoperta ha anche il sapore di una beffa, perché alla consapevolezza della sfortuna di essere nato in un Paese povero si aggiunge quella di essere finito nella città sbagliata.

Soprattutto, è inaccettabile che dove la legge è uguale per tutti esistano leggi “più uguali” delle altre. Perché se dal trenta gennaio una legge obbligherà tutti gli immigrati a vuotarsi le tasche per il permesso di soggiorno, c’è n’è anche una, in vigore dal 1998, che dice che il rinnovo del permesso dovrebbe arrivare entro venti giorni (venti, non quarantacinque!) dalla domanda. Eppure, finora, trovare qualcuno che vive un’esperienza simile è più difficile che avvistare una foca monaca.

Dal trenta gennaio, più di prima, si dovrà allora pretendere che lo Stato rispetti le sue leggi centrando quel traguardo. Altrimenti, quando Aziz sborserà cento euro e si vedrà arrivare comunque il permesso dopo dieci mesi, cosa dovrà fare? Potrà chiedere il rimborso dei soldi versati per un servizio che non gli è stato garantito? Quali saranno gli strumenti a sua disposizione? Le associazioni dei consumatori battano un colpo.

C’erano i sei miliardi di Irpef versati ogni anno e ci saranno tutte le tasse delle nuove manovre, comprese quelle che colpiranno soprattutto gli immigrati, come la patrimoniale sugli immobili all’estero dei tanti che, con i sacrifici fatti qui, hanno comprato casa in patria. Ora arriva l’esoso contributo per il permesso di soggiorno. Mentre crescono le tasse per gli stranieri in Italia, va affrontato allora anche un altro discorso, meno spicciolo.

Diventa infatti sempre più attuale una rivendicazione vecchia di secoli, quel “no taxation without representation” che fu tra gli slogan della Rivoluzione Americana. Se lo Stato mi tassa, e si definisce democratico, dovrebbe darmi anche la possibilità di scegliere chi amministrerà i miei soldi.

Lasciamo da parte il voto politico. In troppi obietterebbero che non si può dare ai non cittadini la possibilità di eleggere o diventare parlamentari, orientando le scelte del Paese su temi sensibili come la laicità, la famiglia, le pari opportunità o la politica estera. Ma l’elettorato attivo e passivo alle elezioni locali è di certo un’altra cosa.

Il sindaco che definisce le rette degli asili nido, l’assessore comunale che organizza i trasporti pubblici o il consigliere che propone un regolamento sui bonus bebè, dovrebbero trovare la legittimazione delle loro azioni anche nel voto dei concittadini immigrati che finanziano quelle scelte, le vivono sulla loro pelle, ma non possono orientarle in alcun modo. Troppo facile, troppo ingiusto, continuare a spremere docili contribuenti ai quali non si renderà conto alle prossime elezioni.

Elvio Pasca

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