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Tra marketing de la négation e marketing identitaire

A fine 2004 un rapporto del ministero dell’interno francese aveva censito ben trecento quartieri a rischio e oltre due milioni di cittadini confinati in una società a parte al di fuori delle leggi della République (1).

Secondo tale rapporto, un giovane immigrato su tre era disoccupato (la disoccupazione tra i giovani diplomati riguardava solo per il 5% i francesi, per il 7% gli europei, per l’11% i francesi acquisiti ma per il 18% gli extracomunitari).

Un rapporto che si è limitato a fotografare una situazione ormai consolidata e ampiamente studiata da chi, come il sociologo Alain Touraine, ha descritto le banlieus come ghetti organizzati "intorno al vuoto, all’esclusione" che "si oppone all’emergere di coloro che potrebbero più facilmente riuscire nella loro personale scalata sociale" (2).

Dal rapporto emerge la descrizione di una Francia che da tempo non pare più in grado di specchiarsi nella squadra multietnica "black, blanc, beur" che aveva vinto la Coppa del Mondo di calcio nel 1998 e di gestire politicamente le banlieus , una volta laboratorio di convivenza e dialogo e ora diventate luogo di segregazione, razzismo, violenza e incomunicabilità.

Una situazione fallimentare per la nazione formalmente costruita per realizzare i valori libertè, egalitè, fraternitè e che nel quotidiano è luogo di casi di discriminazione, quotidianamente denunciati da SOS racisme , nell’assegnazione degli alloggi popolari e nei criteri di assunzione.

Una nazione dove è diventata un caso nazionale la nomina del primo prefetto musulmano che ha portato Nicolas Sarkozy ad affermare di "non considerare normale che le nostre élites si assomiglino e che, a parte Zidane e i campioni sportivi, i giovani immigrati non possano identificarsi in magistrati, giornalisti, dirigenti d’impresa, alti funzionari".

In effetti i dirigenti pubblici e privati di origine migrante sono rarissimi così come sono pochissimi gli ufficiali di origine marocchina mentre, per contro, l’Armée ha lanciato nel 2005 una campagna di reclutamento riservata ai giovani marocchini anche con precedenti penali.

Le marketing de la négation
Ma se la politica francese ha clamorosamente fallito nel suo tentativo di assimilare gli immigrati (peraltro in gran parte provenienti dalle ex colonie francesi) quali sono le responsabilità attribuibili al mondo economico e in particolare al mondo del marketing e della comunicazione?

Qualche colpa deve essere sicuramente addebitata ai marketer e ai comunicatori francesi se è vero quanto scritto dai pubblicitari Jean-Christophe Despres e Gilles Sokoudjou: la pubblicità in Francia occulta l’esistenza di una parte della popolazione. Eresia commerciale, la sotto rappresentazione di tutti i non – bianchi nello spazio mediatico deriva da un fenomeno antico, diffuso e complesso (3).

In particolare se teniamo conto della secolare consuetudine tra l’homme noir e la publicitè , che ha portato al consolidarsi dell’iconografia secondo cui i neri erano e sono considerati eterni bambinoni (bonaccioni, pazienti, ubbidienti, fedeli ai bianchi, ecc.) sempre col "sorriso Banania" la pubblicità inventata nel 1912 dal giornalista Pierre Lardetche, che si è rivelata una delle più durature creazioni pubblicitarie (la campagna 2003 continua a presentare lo stesso personaggio leggermente ringiovanito ma con lo stesso copricapo e le stesse labbrone), la quale ha inciso pesantemente sull’immagine dei francesi dalla pelle scura, dando vita alla categoria negativa della négripub (4).

  

Il mondo della comunicazione francese, come ben descritto da Anne Sengès (5), ha nei fatti consolidato il marketing de la négation, frutto dell’approccio assimilazionista applicato al marketing, lasciandosi talvolta affascinare dal marketing de mixage ispirata all’esperienza del melting pot che, secondo Jacques Attali, non è più una realtà statunitense ma francese.

Nonostante che gli immigrati rappresentino ormai oltre il 17% della popolazione e che, ad esempio, le carni macellate secondo la tradizione mussulmana halal rappresentino ormai il 10% delle vendite totali, le agenzie francesi specializzate marketing multiculturel o marketing ethnique sono solo due: Etnium e Sopi.

La più datata è Etnium che è stata fondata nel 1997 da Constant Nemale, che afferma che "On croit que noir égale banlieue égale misère, mais on ne comprend pas que noir égale mode égale consommatio n ".

Il marketing etnico o multiculturale fatica a svilupparsi in Francia (6) a causa delle accuse di opportunismo rivolte ai consulenti in comunicazione etnica (7) ma anche per l’indifferenza degli operatori economici e bancari tra cui i grandi distributori più interessati a proporre l’alimentazione biologica (Carrefour), la convenienza economica (Leclerc) o, al limite, a tenere conto del calendario multireligioso e della localizzazione delle comunità migranti nell’impostare l’assortimento (Auchan).

Solo da qualche mese il mondo della pubblicità francese ha iniziato a colorare maggiormente i messaggi e ad utilizzare la publicité ethnique senza il necessario approfondimento delle caratteristiche e delle complessità delle comunità migranti ma ponendosi solo banali quesiti tecnici.

Pour représenter " LA FEMME NOIRE " doit-on choisir une africaine, une afro-caribéenne, une afro-américaine?
Les services d’appels téléphoniques vers l’étranger doivent-ils se positionner uniquement sur le prix?
Quel potentiel pour les médias communautaires ?

Le marketing identitaire
La miopia dei decisori economici e del mondo del marketing e della comunicazione – ancora vittime delle sindrome Banania – ha provocato la nascita nelle banlieus di iniziative di marketing communautaire o identitaire sviluppato dagli stessi migranti a favore di altri migranti.

Un marketing che spesso si presenta antagonista rispetto al marketing tradizionale.

Come quello alla base dell’ormai universalmente noto progetto Mecca Cola subito replicato, nelle strategie e nelle finalità, da una decina di altri brand che si rivolgono al target islamico e/o al target arabo con prodotti dichiaratamente avversi al modello americano e al suo prodotto simbolo, la Coca Cola.

Un marketing tendenzialmente antagonista, ribelle, autoghettizzante ma anche carico di potenzialità innovative. Come dimostrato dallo stilista migrante Mohamed Dia che era uno dei tanti migranti di seconda generazione programmati per perdere ma che ora fattura 13 milioni di euro con una linea di street wear di ispirazione hip hop che ha ottenuto un grande successo anche tra i giovani francesi e che ora sta esportando negli Usa (8).

Un marketing che si rivolge con preferenza al target denominato Les revoltés identitaires e individuato dalla Sopi che nel 2003 aveva segmentato le comunità migranti in Francia (www.sopi.fr). Un target così ben descritto:

Guidati da una forte frustrazione di confronto con la società francese, sovente sono nati in Francia e si sentono senza pace richiamati dalla loro origine, brandiscono lo stendardo di identità etnica o religiosa. Si dividono tuttavia in due gruppi distinti. Il primo, diplomato, sovente disoccupato o sotto occupato, adotta spesso una logica simile a quella degli afro-americani negli anni 60 in ricerca di un’identità che si conosce talvolta male. Nascondono non solo i futuri leader politici e associativi ma anche gli imprenditori comunitari, convinti che solo questo tipo di organizzazione permetterà di ritrovare la dignità loro e di quelli come loro. Vogliano passare da una situazione subìta a una situazione scelta. L’altro gruppo, espressione delle classe popolar di prima generazione, è sovente il solo a rappresentare le minoranze visibili nei media: i giovani delle periferie, i delinquenti. Hanno ripreso dagli Usa una contro cultura del ghetto urbano, possiedono circuiti di distribuzione e di informazione e servono spesso da modello per i giovani borghesi bianchi della stessa età. Questo segmento è costituito da giovani maschi e femmine dai 18 ai 25 anni ma con una predominanza maschile. Abitano nei quartieri di periferia nei distretti Hlm delle grandi città In generale sono i bambini dei "come a casa nostra" ma sono molti differenti dai loro genitori. Questo gruppo di rottura, il più difficile da comprendere da parte delle istituzioni pubbliche e private, resta paradossalmente quello che rappresenta le più forti potenzialità per il marketing identitario (abbigliamento da passeggio, musica hip hop, prodotti culturali, alimenti halal…). Rivolgersi loro in termini specificamente etnici potrebbe essere considerato da essi come una discriminazione. Essi sono più per un marketing tribale che etnico (codice abbigliamento, codice linguaggio…): per tradurre il nome di una grande marca statunitense di abbigliamento da strada "par nous, pour nous!".

Verso un marketing interculturel ?
La rivolta nelle banlieus sta portando a molte riflessioni politiche, sociologiche, antropologiche e filosofiche.

La rivolta sta mettendo a nudo i limiti del marketing monoculturale assimilazionista francese che nega le differenze e continua a ridicolizzare il diverso e in particolare la persona di colore. Un marketing che ha contribuito alla formazione di una società, e di un’economia, delle diversità.

I due mondi del marketing francese (ne siamo convinti) sono destinati a incontrarsi, confrontarsi e a dialogare.

Un incontro che potrebbe consentire di cogliere le opportunità offerte dal target migrante (ricordiamolo: pari a oltre il 17% della popolazione francese), di valorizzare le creatività, ora inespresse, dei giovani migranti e contribuire alla costruzione di una società, e di un’economia, interculturale basata su identità forti, aperte, dialoganti e disposte a vivere il cambiamento.

Più di un marketing etnico (marketing differenziato in base all’etnia o alla religione) la Francia ha quindi bisogno di marketing interculturale ispirato anche alla "Charte de la Diversity dans l’Enterprise" firmata a fine 2004 da 40 grandi imprese francesi che si sono impegnate a: –
sensibilizzare e formare i dirigenti e i collaboratori impegnati nella ricerca, nella formazione e nella gestione delle carriere, a tener conto della non discriminazione e della diversità; –
rispettare e promuovere l’applicazione del principio della non discriminazione in tutte le forme e in tutte le tappe della gestione delle risorse umane che sono in particolare la formazione, la carriera e la promozione professionale dei collaboratori; –
cercare di riflettere la diversità della società francese e particolarmente la diversità culturale ed etnica tra i suoi collaboratori ai diversi livelli di qualifica; –
comunicare presso la totalità dei suoi collaboratori il suo impegno in favore della non discriminazione e della diversità, e informare sui risultati pratici di questo impegno; –
dare dell’elaborazione e della messa in opera della politica della diversità un argomento di dialogo con i rappresentanti del personale; –
includere nel bilancio annuale un capitolo descrittivo del suo impegno di non discriminazione e di diversità: azioni avviate, prassi e risultati.

(11 novembre 2005)

Enzo Mario Napolitano
Etnica – la scuola per l’economia interculturale www.etnica.biz

 


1 Massimo Nava, La Francia e gli immigrati L’integrazione è fallita, Il Corriere della Sera, 26 Novembre 2004.
2 Alain Touraine, Immigrati, Europa in ordine sparso, Il Sole 24 Ore, 11 Agosto 2004.
3 Jean-Christophe Despres e Gilles Sokoudjou, Marketing ethnique – quelle place pour le minoritès dan la publicitè en France?, paper, Sopi Communication, www.sopi.fr, 2003
4 Bachollet R., Debost, J.-B. & Lelieur, M.-C. Peyrière Négripub. l’image des noirs dans la publicité, Paris, Ed. Somogy, 1992 poi pubblicato come Negripub. L’immagine dei neri nella pubblicità, Edizioni Gruppo Abele, 1997
5 Anne Sengès, Ethnik! Le marketing de la differénce, Éditions Autrement, Paris, 2003
6 Le marketing "ethnique" émerge timidement en France, www.etrangersenfrance.fr, 2005.
7 Mauriel Jaouen, Marketing de communautés. La confusion identitaire, Marketing Magazine, n. 87 Luglio-Agosto 2004.
8 Mohamed Dia, J’ai fait un rêve, Éditions Ramsay, 2005.

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