La Santa Sede presenta un documento pastorale su rifugiati, sfollati, apolidi e vittime delle diverse forme di traffico di esseri umani. Vegliò: "Nelle decisioni politiche le misure di deterrenza hanno preso il sopravvento sugli incentivi per il benessere delle persone"
Roma – 6 giugno 2013 – "Essere vicini ai rifugiati presuppone vedere, toccare, assaporare e persino sentire l’odore della loro situazione, facendosi carico della loro causa. Guardarli negli occhi e conoscere i loro sentimenti, ascoltando le loro speranze e la loro disperazione. Un’esperienza del genere non lascia indifferenti e non è che il primo passo per intraprendere adeguate prese di posizione nel dibattito politico".
Così il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, introduce il documento "Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzatamente sradicate", presentato oggi a Roma e stilato dal suo dicastero e da Cor Unum, il dicastero che coordina le attività umanitarie della Santa Sede. Riflette sulla situazione di rifugiati, sfollati, apolidi e vittime delle diverse forme di traffico di esseri umani.
"Il titolo – sottolinea Vegliò – già indica che la natura della migrazione forzata è cambiata. Uomini, donne e bambini sono costretti a lasciare le loro case per molte ragioni diverse, per cui è diventata meno evidente la differenza tra migrazione forzata e migrazione volontaria per motivi di lavoro. Nello stesso tempo, l’atteggiamento di molti governi si è fatto più rigido. E questo impone una riflessione, dato che apparentemente al centro delle decisioni politiche le misure di deterrenza hanno preso il sopravvento sugli incentivi per il benessere delle persone".
"Sembra che la priorità sia data alle strategie per tenere lontani profughi e sfollati. La sola presenza di rifugiati o di persone deportate è sentita come problema, invece di tener conto delle ragioni per cui sono stati costretti a fuggire. Di pari passo, inoltre, troviamo anche un’opinione pubblica sempre più diffidente e tutto questo sta minacciando lo spazio di protezione" denuncia il responsabile immigrazione del Vaticano.
"La risposta corretta – conclude – non sta nella chiusura delle frontiere. I Paesi dovrebbero garantire i diritti dei rifugiati e agire secondo lo spirito della Convenzione del 1951, andando incontro a chi è nel bisogno, accogliendolo e trattandolo come si farebbe con cittadini autoctoni".