Menu

Il portale dell'immigrazione e degli immigrati in Italia

in

Velo o croce: i dilemmi dell’ Europa alla ricerca di un’identità

Come molti sapranno lo spazio Schengen è un’area territoriale, composta da più nazioni, all’interno della quale un immigrato può muoversi liberamente.

L’Italia e la Francia fanno parte di questo stesso "spazio". Ma se un immigrato di religione musulmana facesse il pendolare fra le due nazioni si troverebbe in un qual certo imbarazzo.
In Francia, infatti, scoprirebbe che due ragazze musulmane sono state espulse da una scuola perché indossavano in classe il velo, un simbolo della propria religione.

Su questo punto la maggior parte della classe politica francese è stata irremovibile e lo stesso Presidente della Repubblica ha preso posizione: la Francia non consente che nelle scuole pubbliche vengano esibiti simboli religiosi.

In Italia, invece, un giudice, in nome della laicità dello Stato, ordina la rimozione dai muri di un edificio scolastico di un simbolo religioso. Questa volta, però, non si tratta del velo islamico ma del crocifisso cristiano. La levata di scudi è immediata, unanime e veemente come poche volte nella storia italiana e il Presidente della Repubblica interviene per "sigillare" il caso: il crocifisso non si tocca perché è parte integrante ed imprescindibile dell’identità nazionale.

La motivazione è, quindi, esattamente la stessa di quella usata dai musulmani che in Francia si oppongono alla decisione del Governo: vietare il velo è contrario ai diritti dell’uomo perché esso è il simbolo di una identità culturale.

Ma siccome la Francia ha più dimestichezza dell’Italia con la laicità sentiamo cosa risponde ai difensori del velo la filosofa Julia Kristeva, figura di punta del mondo culturale d’Oltralpe.

"L’identità non è un valore in sé, immutabile. L’identità è sempre in movimento, un’entità plurale e creativa che deve potersi aprire all’identità degli altri. Oggi prevale una tradizione semplicistica ed infantile dell’identità, costruita sull’idea di una tradizione immutabile."

E ancora: "I musulmani vengono imprigionati in un’identità chiusa ed immobile. Bisognerebbe offrire loro l’immagine di un’identità complessa, aiutandoli ad aprirsi alla complessità del genere umano. Pensare che i musulmani non siano capaci di fare quella riflessione critica che conduce alla laicità, all’accettazione dei diritti dell’uomo significa ritenere i musulmani inferiori. E’ una forma di razzismo inconscio perché considera i musulmani incapaci di raggiungere la nostra comprensione della tolleranza, della differenza e della libertà".

La filosofa francese mai avrebbe potuto pensare che qualche mese dopo essere state scritte queste parole avrebbero potuto essere usate dal nostro immigrato pendolare nei confronti dei cattolici italiani.

Ma il nostro amico è troppo frastornato. Di qui lo invitano ad abbandonare un simbolo della propria identità in nome della laicità e dei diritti umani, di li, in nome di uno Stato laico, gli impongono il simbolo di una identità religiosa differente dalla sua. I problemi della vita quotidiana, poi, incalzano: la casa, il lavoro, la famiglia da sistemare, i parenti rimasti a casa da aiutare. Del crocifisso e del velo non gli importa poi così tanto. Ci penseranno i suoi figli o magari i suoi nipoti, quelli che vivranno in un’Europa in cui 1 cittadino su 4 avrà origini extraeuropee.

Ma noi, cittadini dell’Europa di oggi, possiamo permetterci di risolvere la questione nella rigidità di un laicismo che diventa esso stesso simbolo di identità nazionale o nell’ambiguità di un laicismo che degrada un simbolo religioso universale in un simbolo di identità nazionale?

Popoli che per millenni la cristianità aveva relegato fuori dai suoi confini li varcano, da noi stessi invitati, e chiedono di poterci vivere stabilmente.

La nostra società e la nostra identità cambia con una rapidità mai vista in passato. Le migrazioni di milioni e milioni di esseri umani con identità "diverse" ci impongono di ripensare la nostra stessa identità per evitare un violento conflitto permanente dagli esiti fatali.

"Prevenire per non reprimere" diceva San Giovanni Bosco. E per i cattolici il solco di questo ripensamento irrinunciabile lo ha tracciato Giovanni XXIII con il Concilio Vaticano II.

I laici invece farebbero bene a partire da una riflessione sui contenuti, i valori ed i limiti delle religioni.

Una traccia la prendo ancora da Julia Kristeva, la filosofa di cui sopra.

"Dopo la fine del comunismo abbiamo sviluppato un’eccessiva compiacenza nei confronti della religione, considerandola una totalità intangibile e non analizzabile. Rispettare la dimensione religiosa significa, invece, interrogarla ed analizzarla, dissolvendone in senso freudiano gli aspetti inibitori e più discutibili."



 

(29 ottobre 2003)

Gianluca Luciano

Clicca per votare questo articolo!
[Totale: 0 Media: 0]
Exit mobile version