Le nuove regole non riguardano il settore domestico, dove non vale neanche il limite di 2 mila euro a committente. Zini (Assindatcolf): “Così aumentano lavoro nero e vertenze”
Roma – 14 giugno 2016 – Più controllo, ma non per tutti, sull’utilizzo dei voucher (buoni lavoro) per il lavoro accessorio. Negli ultimi anni hanno conosciuto un vero e proprio boom, che nascondono utilizzi impropri, ad esempio da parte di aziende che li comprano, ma poi li usano solo in caso di controlli o di infortuni dei lavoratori, normalmente pagati in nero.
Per contrastare queste pratiche, venerdì scorso il consiglio dei ministri ha approvato in via preliminare un decreto legislativo che introduce un sistema di tracciabilità. Gli imprenditori non agricoli e i professionisti dovranno comunicare all’inps via sms o email i dati del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione 60 minuti prima della prestazione, i datori agricoli potranno fare riferimento a un arco temporale non superiore a 7 giorni.
Chi non farà la comunicazione rischierà una multa da 400 a 2.400 euro a lavoratore. Il decreto esclude il settore agricolo dal tetto di 2 mila euro da spendere in lavoro accessorio previsto per le altre imprese. Rimane però il tetto di 7 mila euro l’anno che ogni lavoratore può guadagnare con i buoni e il fatto che in agricoltura i voucher possono essere usati solo per pagare pensionati e studenti per attività stagionali.
Nonostante le richieste di sindacati e associazioni dei datori di lavoro, le nuove regole non riguardano colf, badanti e babysitter. Il decreto non introduce infatti la tracciabilità dei voucher per datori di lavoro domestico, per i quali non esiste nemmeno il limite dei 2 mila euro.
Queste eccezioni, insieme al tetto di 7 mila euro a lavoratore (che è stato alzato con il Jobs act, mentre prima superava di poco i 5 mila), fa sì che oggi una colf, una badante o una babysitter non impiegata a tempo pieno possa essere pagata esclusivamente con i buoni lavoro. Sono pochissime infatti le domestiche a ore o part time che guadagnano oltre 7 mila euro l’anno.
C’è poi da considerare che la maggior parte delle lavoratrici domestiche sono straniere e che un reddito da settemila euro è sufficiente per rinnovare il permesso di soggiorno. Tutti fattori che potrebbero far diventare i contratti regolari (con malattie e ferie pagate, permessi, tredicesima, contributi regolari ecc.) ancora più rari in un settore dove il lavoro nero imperversa.
“Che senso ha escludere la tracciabilità dei voucher proprio per un settore dove, come stima il Censis, il lavoro nero supera del 100% quello regolare? Oggi ci sono rapporti in cui alla colf si corrisponde un voucher da un’ora ogni due ore lavorate, questa rischia di diventare la regola vanificando la contrattazione collettiva” dice a Stranieriinitalia.it Andrea Zini, vice presidente di Assindatcolf, associazione dei datori di lavoro domestico.
“Con queste regole –sottolinea – datori e lavoratori possono essere indotti in tentazione e utilizzare per anni i voucher per pagare un lavoro che non è né occasionale né accessorio. Le famiglie rischiano grosso: se il rapporto cessa e i lavoratori fanno una vertenza, potrebbero essere costrette a pagare anche dieci o quindicimila euro in Tfr, tredicesime e ferie, esborsi spesso insostenibili per i loro bilanci”.
Cosa chiede Assindatcolf? “Intanto, che questo decreto venga modificato, introducendo la tracciabilità dei voucher e la soglia di 2 mila euro a committente anche per il lavoro domestico. Lo strumento più efficace per combattere il sommerso è però rendere conveniente la regolarità. Non è possibile che oggi Fiat Chrysler o una bocciofila possano dedurre il costo del lavoro, mentre le famiglie possono dedurre solo i contributi”.
Elvio Pasca