Mentre sui campi continua lo sfruttamento, il frutto arriva nei supermercati. Flai Cgil Puglia denuncia le responsabilità della grande distribuzione e chiede di puntare sulla “certificazione etica d’impresa”
Roma – 28 ottobre 2013 – “Sulle nostre tavole arrivano ortaggi e frutta raccolti in Italia da lavoratori sfruttati, vittime dei caporali, ridotti in schiavitù. I consumatori devono essere informati, le aziende di trasformazione e la grande distribuzione non possono fingere di non sapere, ma attivarsi per spezzare questa catena”.
A parlare è Yvan Sagnet, giovane camerunense arrivato nel nostro Paese per studiare ingegneria, ma diventato un simbolo della lotta contro lo sfruttamento nei campi nell’estate del 2011, quando per mantenersi andò a Nardò, in Puglia, a raccogliere angurie e pomodori. Fu infatti tra i leader dello sciopero dei braccianti africani, che incrociarono le braccia per due settimane contro le angherie di caporali e proprietari terrieri.
“Quello sciopero – racconta – fu fondamentale per l’impulso che diede alla nuove norme contro il caporalato, ma a Nardò la situazione è addirittura peggiorata: hanno chiuso la masseria Boncuri, dove gli stranieri potevano dormire in condizioni più umane. Lo sfruttamento continua ovunque: sui campi della Puglia e della Sicilia, nei frutteti del Piemonte, negli agrumeti in Calabria. Opprime i lavoratori che si spostano di stagione in stagione per tutta la penisola”.
Tra poche settimane in tanti si ritroveranno di nuovo a Rosarno per la raccolta delle arance. È forse la situazione più terribile, sottolinea Sagnet: “Lì bisogna affrontare anche l’inverno, gli stagionali dormono nei casolari abbandonati e bruciano copertoni acquistati dagli stessi caporali per scaldarsi, inalando fumi tossici”.
Oggi, insieme al sindacato Flai Cgil, Sagnet inizia una nuova battaglia per la “certificazione etica d’impresa” e per tracciare i prodotti dal campo in cui nascono fino agli scaffali dei supermercati, in modo che chi li acquista possa farlo senza alimentare lo sfruttamento. “È inutile prendersi in giro, non puoi vendere un chilo di pomodori a 90 centesimi, o un chilo di arance a 60 centesimi facendo finta di non sapere perché puoi permetterti un prezzo finale così basso”.
Troppo difficile controllare tutta la filiera? Tutt’altro, perché già esistono strumenti per capire dove la raccolta viene fatta senza seguire le regole, come i cosiddetti “indici di congruità”.
“Gli indici dicono che per raccogliere il prodotto di un appezzamento di terreno di una certa estensione servono un certo numero di giornate di lavoro. Se però le giornate dichiarate dal produttore sono il 20% in meno di quelle previste dalla tabella, in mancanza di giustificazioni valide è un segnale che sono stati impiegati lavoratori in nero” spiega Peppino Deleonardis, segretario generale della Flai Cgil in Puglia.
Questo tipo di discorso può estendersi dalla produzione alla trasformazione fino alla distribuzione del prodotto all’utente finale. “È un modo – sottolinea il sindacalista – per superare il sistema attuale, nel quale i codici etici delle aziende si basano su semplici autocertificazioni dei produttori. Questi dicono che hanno raccolto seguendo le regole, quindi la grande distribuzione prende per buona la dichiarazione, si rifornisce da loro e dice ai clienti che possono stare tranquilli”.
La strada, comunque, è lunga. Deleonardis fa parlare i dati: “In Puglia il 50% delle ispezioni dell’ ultimo semestre ha scoperto infrazioni o illeciti a vario titolo. Tra i lavoratori individuati, il 24% erano in nero, a questo si aggiunge il lavoro grigio, con un numero di giornate dichiarate inferiori a quelle effettive. Senza contare le evasioni contrattuali, con operai specializzati inquadrati come operai comuni”.
E la legge contro il caporalato? “C’è, ma pochi denunciano, il ricatto del lavoro è troppo forte. È questa la partita della legalità e deve giocarla anche la grande distribuzione” conclude il segretario di Flai Cgil.
Lo sfruttamento dei lavoratori immigrati in Puglia è andato in onda anche Oltralpe, qualche settimana fa, grazie a un’inchiesta di France 2 intitolata Les recoltes de la honte, i raccolti della vergogna. Denunciava la disinvoltura delle grandi catene di distribuzione come Lidl, Auchan o Carrefour nell’acquistare e rivendere prodotti raccolti dai nuovi schiavi. Con buona pace del loro tanto millantati codici etici.
Alla Flai Cgil per ora non parlano apertamente di boicottaggio. Però è chiaro che se la filiera non si adeguerà sarà quella l’ultima arma da mettere in campo. Sempre che si riescano a sensibilizzare i consumatori, per molti dei quali un pomodoro è solo un pomodoro, comparso all’improvviso, con un offerta vantaggiosa, sugli scaffali del supermercato sotto casa. Troppo lontano, forse, dalla disperazione dei campi dove è stato raccolto.
Elvio Pasca