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Jorge Canifa Alves, storie e versi di un’Italia plurale

Lo scrittore e poeta italo-capoverdiano: "Le migrazioni ci mettono in gioco, chi non partecipa sarà tagliato fuori. Un giorno entreremo nella Letteratura di questo Paese. La stiamo scrivendo anche noi

Roma – 24 gennaio 2013 – Racconti in altalena, Il Bacio della sfinge, Claridade e, da ultimo, Kronos ‘90: poesie in bianco, nero e grigio, sono i libri del poeta e scrittore Jorge Canifa Alves. Nato a Capoverde, è in Italia da quando aveva sei anni. Ci racconta la sua passione per la scrittura e ci spiega come il pluriculturalismo è il futuro del nostro Paese.    

Crescere sull'isola. "Di Mindelo, la mia città natale, conservo uno splendido ricordo, anche se la vita ha portato mia madre in Italia subito dopo la mia nascita e mio padre già lavorava all'estero. Quello fu il periodo in cui ho maturato l'amore per la mia terra, e dove ho imparato a sognare ascoltando i racconti degli anziani davanti ad un fuoco acceso o sotto la luna splendente. Sono cresciuto insieme ai miei nonni finchè mia madre non ha avuto la possibilità di ricongiungermi a lei".

Marcellina. "Prima di arrivare in Italia ho passato qualche mese a Lisbona con mio padre. Della capitale portoghese non mi è rimasto un particolare ricordo, mentre l'impatto con Roma fu decisamente più forte, mi piacque all'istante. Ma immediatamente andammo a vivere nella provincia romana, precisamente a Marcellina, dove la storia della mia adolescenza trovò il suo sviluppo. Era un luogo che mi faceva sentire al sicuro e dove potevo alimentarmi di fantasia.

"C'erano molte similitudini con tra Marcellina e Mindelo: le luci della strada si spegnevano ad una certa ora della sera e l'ambiente diventava magico come quando stavo con i miei nonni. Per certi aspetti la vita di paese è stata più facile rispetto a chi ha vissuto in quegli anni in una grande città come Roma, la solitudine e la nostalgia non mi schiacciarono".

"Le difficoltà più grandi le ho affrontate nei primi anni di scuola, in cui la maestra mi metteva sempre in un angolino a disegnare, perché non sapevo la lingua. Se ho imparato a leggere e a scrivere è stato grazie a mia madre".

Scrivere. "La mia passione per la scrittura è nata tra i banchi di scuola alle medie. La professoressa di lettere invece dei soliti temi ci faceva scrivere dei racconti. A lei piacevano molto i miei testi e mi chiese se li poteva conservare, puoi immaginare il mio entusiasmo, ero lusingato. Sinceramente credo che li abbia ancora".

"La scrittura ha forgiato la mia anima. Se oggi sono quello che sono è grazie alla scrittura. Da quando l'ho scoperta non ci siamo più lasciati. Nonostante abbia iniziato con i racconti a scuola, i primi anni li ho dedicati alla poesia che mi ha aiutato ad affinarmi sull'uso delle parole e a ricercare la sintesi.  Solo verso i diciotto anni iniziai a dedicarmi seriamente alla scrittura narrativa. Ho amato molto Ungaretti e Calvino, un poeta e uno scrittore entrambi con la dote della sintesi. Ma ho scelto di seguire "Il Barone Rampante" perché la narrazione mi dava qualcosa in più: una visione cinematografica di ciò che volevo esprimere, quel movimento che fa vivere la scrittura".

Pluriculturalismo. "Nei miei racconti i personaggi si muovono, viaggiano, si incontrano e creano quel quid necessario per vivere, non solo nella dimensione della nostra cultura, ma relazionandosi con altri personaggi ed altre culture. Nei miei testi più che biculturalismo, direi che c'è pluriculturalismo. Un elemento che Roma sa trasmettere molto bene a chi ha occhi che vanno oltre i media".

"Nel racconto "Fat Frumos" c'è un incontro tra un capoverdiano e due rumeni che hanno in comune solo il fatto di essere passati per l'Italia. In "La casa di acqua" una donna capoverdiana, raccontando la sua storia, scopre di avere qualcosa in comune con un'altra donna italiana. Lo stesso percorso migratorio in un immagine riflessa. Insomma il pluriculturalismo è la via verso il futuro".

"Sono i flussi migratori che ci mettono in relazione con il mondo intero in una sorta di altalena dove chi non vorrà far parte del gioco verrà tagliato fuori, anche a dispetto di politiche che ancora non accettano questa ricchezza. È il nostro presente e il nostro futuro, la mia storia. Questo è un tema che affronto attraverso la scrittura, a oggi più un hobby, e quotidianamente con il mio lavoro in un centro d'accoglienza".

Domani? "Per quanto mi riguarda spero di pubblicare a breve il mio primo romanzo e perché no, un film magari, tra qualche anno.  Oggi si tende ancora a ghettizzare gli scrittori stranieri nello scaffale letteratura migrante, nonostante scrivano in italiano. In altri paesi non esiste questa distinzione, esiste solo la letteratura della lingua di quel paese o in lingue differenti. Sono certo che un giorno entreremo nella storia letteraria di questo Paese. La stiamo scrivendo anche noi".

Samia Oursana

OCCHI BLU
Occhi di fanciullo indifeso
Così puri e innocenti
Così pieni di tormenti
Han smesso di essere ridenti
In questo mondo… Incompreso!

"Dai smettila di farmi male
Io non sono un animale!"

Fanciullo in balia dei venti
Aspri nella val dell'Erota rivo
Nascosto intr'ora l'umida terra
Cercando gl'aurei elementi
Immagini di restar vivo.
Un grido, sul nascer, ti si serra,
Là, in gola, mentre dentro senti
L'uom strapparti il cor giulivo
O donarti polvere o terra.

I tuoi occhi innocenti
Nascondono il triste destino
Di un fanciullo offeso
Infinite volte da violenti
Frustate in sul suo corpo piccino
E fragile e indifeso.
Silenzio su ciò vuoi tu,
Ora, fanciullo dagl' occhi blu?
(Da Kronos ‘90: poesie in bianco, nero e grigio)

 

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