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Dalla parte degli zingari

Nei Paesi europei con più Rom e Sinti dell’Italia l’integrazione è una realtà, da noi no. Per risolvere i problemi bisogna prima eliminare i pregiudizi

11 maggo 2010 – Tra pochi giorni, dal 13 al 15 maggio, l’associazione Opera Nomadi realizza il XII° Seminario Nazionale “I Rom/Sinti e le Metropoli”. La tre giorni di dibattito prevede eventi con il sostegno dei  Ministeri del Lavoro, delle Pari Opportunità, della Pubblica Istruzione, del Comune di Roma, nonché la partecipazione di un rappresentante del Consiglio d’Europa. L’evento è promosso in collaborazione con la Società Italiana Medicina delle Migrazioni e dall’intero mondo sindacale (Uil in prima fila) e vedrà  – oltre a numerosi dibattiti sui temi che riguardano l’integrazione di Rom e Sinti (lavoro, casa, scuola, sanità e diritti) – anche un concorso nazionale “musicisti di strada” con spettacoli folkloristici.

La Uil è pienamente impegnata a dare il proprio contributo ad organizzazioni come Opera Nomadi e ad aprire le proprie porte alla collaborazione ed al confronto con tutte le rappresentanze di questo variegato universo etnico culturale.
Zingari, gitani: termini generici e imprecisi usati per indicare un insieme di popoli, in origine ritenuti nomadi ma che in gran parte non lo sono più.

La storia del loro radicamento in Italia si perde nei secoli. Si ritiene che in Italia i primi immigrati di origine Rom e Sinti siano arrivati nel 1392 come conseguenza della battaglia del Kosovo fra le armate ottomane e quelle serbo-cristiane. La prima testimonianza storica scritta della loro presenza in Italia risale al 1422 a Bologna.

Nei secoli successivi, per sopravvivere, questi popoli hanno dovuto  superare persecuzioni di ogni genere: arresti di massa in Spagna nel XVIII secolo, la schiavitù in Romania (fino al 1850), i campi di concentramento nazisti ed i rigurgiti xenofobi dell’epoca attuale.

Oggi in Italia sono presenti diversi gruppi etnici della popolazione romaní, rom e sinti, quantificati in circa 170.000 persone, di cui due terzi italiani. Un numero esiguo se raffrontato col numero di 1 – 1,5 milioni stabile in Romania, gli 800 mila residenti in Bulgaria e Spagna, il mezzo milione in Slovacchia e Ungheria, i 400 mila della Serbia ed i  350 mila della Francia. Ed in molti Paesi, il processo di accoglienza ed integrazione è andato molto più avanti che da noi, magari con il giusto utilizzo dei copiosi fondi che la UE mette a disposizione degli Stati membri per l’accoglienza ed integrazione di questo popolo.

Neanche questo fa l’Italia: i fondi giacciono inutilizzati per anni, per poi essere messi a disposizione di altre nazioni più avvedute e propense all’accoglienza. La UE non ci concede fondi perché l’Italia non fa accoglienza ma solo discriminazione ed  emarginazione, all’insegna di un dubbio concetto della sicurezza.  Ed in effetti, da noi il tema “nomadi” (che poi nomadi non sono quasi più) è sempre un’emergenza, anche se dura da secoli.
Per questo la drammatizzazione di fatti di cronaca si presta alle “convenienze”  del politico di turno, e si trasforma in ripetute campagne medianiche, all’insegna spesso dell’odio verso il diverso.

Ma se negli altri Paesi europei, che hanno molti più Rom e Sinti dell’Italia, l’integrazione è una realtà e da noi invece no, allora forse dovremmo concludere che c’è qualcosa di sbagliato e forse proprio da parte nostra. Ma che cosa non va? E cosa si può fare per invertire questo circolo vizioso che porta inevitabilmente verso l’involuzione e la frattura sociale? Sono queste alcune delle domande che spingono la UIL – assieme agli altri sindacati e ad un variegato mondo associativo – ad appoggiare la linea di maggiore analisi e comprensione del fenomeno e di ricerca di un percorso d’integrazione per questo variegato popolo dalle mille culture e dalle mille contraddizioni.

Perché siamo convinti che il nostro essere “civili” si misura anche e soprattutto affrontando problemi controversi e distanze culturali come quelle rappresentate da queste etnie e culture che fanno parte integrante della nostra società da oltre sei secoli. Certo, vanno aboliti i campi sosta irregolari. Anzi: andrebbero aboliti tutti.

Certo, urta la nostra “sensibilità” che molti esponenti di quel mondo vivano di elemosina ed utilizzino, a volte, i bambini per farlo. Certo, vanno anche combattute le forme di devianza che portano alcuni esponenti Rom e Sinti a delinquere. Ma la legge già punisce i reati e la responsabilità di un crimine, ricordiamolo, è individuale: di conseguenza non consente, come qualcuno vorrebbe, di fare uso della condanna “etnica” quando a macchiarsi di un crimine è un Rom, magari non italiano. Ed ancora:  pensiamo davvero che la segregazione e la discriminazione siano i mezzi migliori per risolvere queste contraddizioni? E’ sufficiente rimuovere, come fanno molti, il problema (magari c’è anche qualcuno che vorrebbe rimuovere gli zingari, in toto ), spostandoli da una località all’altra e condannando il loro stile di vita senza proporre soluzioni alternative?

Ci sono alcuni luoghi comuni, io credo che vanno  sfatati se vogliamo comprendere i problemi, primo passo per individuare soluzioni concrete e possibili:

1) Gli zingari non sono tutti stranieri: al contrario, la maggioranza di loro ha da secoli la cittadinanza italiana;

2)  non è vero che tutti gli zingari vivano nei campi: sui 170 mila Rom e Sinti presenti oggi nel nostro Paese, solo una minima parte è ubicabile nei campi sosta, e sono quelli di più recente insediamento dalla ex Jugoslavia o dalla Romania;

3) non è vero che chi vive nelle roulotte ai margini delle città abbia scelto di vivere così: la grande maggioranza vorrebbe una casa, solo che non ce l’ha o non si può permettere un affitto ai prezzi di mercato; quello che conta per loro è che la casa non diventi un ostacolo al mantenimento di una rete  familiare;

4) non è vero che sia inutile mandare i bambini Rom e Sinti a scuola: solo che non basta trasportarli con il pulmino: è anche necessaria una politica specifica di inserimento, di mediazione culturale e di accoglienza didattica, altrimenti loro si sentiranno come pesci fuor d’acqua e diversi dai loro compagni di classe. C’è, di sicuro, una carenza di strumenti e risorse da mettere a disposizione del corpo docente per svolgere bene il loro lavoro su un versante oggettivamente più complesso;

5) Se una parte degli zingari preferisce vivere di mestieri tradizionali (musicisti di strada, raccolta differenziata, giostre e spettacolo viaggiante, artigianato ecc.), ci sono anche  quelli che – specialmente tra i giovani – vorrebbero lavorare come i loro coetanei; ma non hanno il livello di studio o la formazione professionale sufficiente per competere in un mercato difficile anche per gli altri. Secondo la UIL è comunque sbagliato ostacolare quelle oneste attività di Rom e Sinti, proprie della loro tradizione (come spesso succede attraverso ordinanze di molti comuni, specie nel Settentrione, che rifiutano giostre o musicisti di strada), come anche vanno lasciate libere le nuove generazioni di scegliere stili di vita simili a quelli dei loro coetanei, entrando a pieno titolo nel mercato del lavoro globale.

Ci sono poi i pregiudizi e le discriminazioni da combattere: basta presentarsi in un luogo di lavoro ed esibire un cognome slavo o avere i tratti somatici tipici di queste provenienze per venire in molti casi rifiutati senza motivazione. Situazioni che si ripetono tutti i giorni, in sprezzo alle norme antidiscriminazione in vigore e, purtroppo, spesso difficili da dimostrare.

Come si può pensare allora che queste persone si possano adeguatamente integrare in una società dove si propaganda spesso nei mass media il rifiuto del diverso, il pregiudizio  e finanche atteggiamenti razzistici? Purtroppo siamo abituati a parlare (e a volte straparlare) dei problemi, lamentandoci dello zingaro al semaforo o vicino ad una chiesa, senza chiederci se esista un percorso di accoglimento ed integrazione anche per lui che ci sembra così lontano e diverso.

Se nel passato ci potevamo permettere di guardare al degrado ed all’inciviltà delle condizioni di vita in un campo nomadi, scrollando le spalle e dimenticandoci del problema appena girato l’angolo, oggi io credo che questo non sia più possibile. Viviamo in una società a carattere multi etnico e multi culturale e la non gestione dei processi di integrazione, la rimozione e l’incancrenirsi dei problemi porta spesso alla chiusura mentale, quando non alla frattura sociale; porta all’insofferenza, quando non al razzismo.

Per questo motivo la UIL  ha deciso da tempo di affrontare a viso aperto questo problema, aprendo un dibattito con le rappresentanza di Rom, Sinti e Camminanti e chiedendo alle istituzioni, ai partiti alle associazioni di aprire un confronto senza steccati, alla ricerca di soluzioni concrete che non possono continuare a tardare altri sei secoli. E’ anche da questo, la UIL ne è convinta,  che si misura la qualità ed il percorso futuro della nostra democrazia.

Beppe Casucci e Guglielmo Loy  – Uil – Settore Politiche Migratorie

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